Scheda tecnica Didone non è morta
IL FILM
Napoli e i Campi Flegrei diventano lo scenario in cui Didone, la
fondatrice di Cartagine. Ritorna alla vita per rincontrare ancora
una volta il suo grande amore, Enea, e perderlo insieme al suo
sogno dell’unità di una civiltà mediterranea.
In una dimensione surreale passato e presente si rincontrano in
spazi e tempi paralleli. Dalla discoteca, all’incontro con la
Sibilla, un viaggio all’Averno, una avventura che sfida ogni
limite.
Competitività, amore, potere e passione di cui il mare di Napoli e
il fuoco dei Campi Flegrei sono elementi simbolici.
Soggetto e Sceneggiatura:
Lina Mangiacapre e Adele Cambria
Collaborazione alla Sceneggiatura:
Lucia Drudi Demby
Fotografia:
Antonio Modica (a.i.c.)
Montaggio:
Giuliano Mattioli
Scenografia:
Vincenzo Sorrentino
Costumi:
Consuelo Campone
Musiche originali:
Lina Mangiacapre
Regia:
Lina Mangiacapre
Interpreti:
Daniela Silverio : Didone
Mauro Cruciano : Enea
Teresa De Blasio: Anna
Organizzazione Generale:
Romualdo Buzzanca
Produzione:
Coop. “Le tre ghinee” s.r.l.. 1987
Sponsor:
Banco di Napoli
Azienda Autonoma Cura Soggiorno Turismo/Pozzuoli
Negativi:
Kodak Eastmancolor
Durata:
90 minuti
Formato:
35 mm – 1.66
Rassegna Stampa
Didone? Una femminista
Roma – E il femminismo? Sogna. Sogna che la mitica regina di
Cartagine, Didone, venga disseppellita dalle sue compagne, e
riportata alla vita, per ricominciare a vivere la storia
dell’infelice amore con Enea, come fu e come potrebbe essere oggi,
con Napoli al posto di Cartagine, e l’eroe troiano nel ruolo di un
moderno fotoreporter che si innamora di una Didone distante e
siderale alla quale si rivolge con le stesse parole che l’Enea
virgiliano, disceso agli Inferi, rivolge vanamente all’ombra della
regina suicida.
E’ un film. Si intitola Didone non è morta. Lo hanno scritto,
insieme, Lina Mangiacapre e Adele Cambria. Lo ha diretto Lina
Mangiacapre, leader e fondatrice del gruppo femminista napoletano
“Le Nemesiache”. Lo interpretano Daniela Silverio (l’avete vista
in Identificazione di una donna di Michelangelo Antonioni) e poi
Mauro Cruciano, Teresa De Blasio, e tanti altri. Lo hanno
sponsorizzato il Banco di Napoli, la Soprintendenza archeologica
delle province di Napoli e Caserta, l’Azienda autonoma di cura e
soggiorno e turismo di Pozzuoli il Comune di Pozzuoli. La
produzione è della cooperativa Tre Ghinee, con un finanziamento
dal Ministero dello Spettacolo ottenuto in base all’articolo 28.
Lina Mangiacapre si serve anche del suo vestire per “comunicare la
sua militanza: una divisa con cappello a visiera da marinaio,
lunghi capelli color rame sciolti sulle spalle, occhiali da sole
hollywoodiani con montatura azzurro cielo a farfalla, per dire
credo nella creatività, nella fantasia, nella serietà del gioco,
nella non appartenenza alle regole, neanche dell’abbigliamento”.
“Credo nell’essere artista” e si presenta, innocente, come
pittrice, scrittrice, musicista, regista e giornalista, tutto
insieme. Le credenziali in campo cinematografico sono film come
Cenerella del ’74, Autocoscienza del ’76, Le Sibille del ’77, e i
più recenti Follia come poesia, o Ricciocapriccio.
Nei giorni in cui il Censis racconta di un mondo in cui l’unico
elemento vitale è la corsa al successo di tutti contro tutti, lei
è totalmente immersa in una storia in cui “Napoli è come
Cartagine, entrambe legate alla catastrofe, al fuoco e al mare,
entrambe fondate da due donne, Didone e la Sirena Partenope,
entrambe morte suicide per non essere riuscite a fermare, con il
loro amore, un uomo, Ulisse per la Sirena Partenope, e Enea per
Didone”. E difende, anche razionalmente, le sue scelte; “ Io
credo” dice “ che c’è bisogno del mito, della favola: solo queste
dimensioni possono far uscire i giovani dalla crisi dei sentimenti
dei nostri giorni, che è terribile”.
Spiega anche cos’hanno a che fare Didone, Enea, Cartagine e
Napoli, con il femminismo, nel quale, sia o non sia più di moda,
lei continua a militare e a credere :” Cominciamo col dire che
Didone era femminista: racchiude in sé tutto il nostro inespresso
desiderio dell’avventura. E poi femminismo per me è un mito, la
riconquista di una propria dimensione culturale, mitica, contro
una colonizzazione che ha provocato, appunto, la cancellazione dei
miti nei quali sono le nostre radici”.
Ed è bello e incredibile incontrare ancora oggi, a distanze
siderali dagli anni delle ideologie e delle speranze anche
assurde, qualcuno che ancora crede alle idee più che agli affari,
qualcuno che sceglie la “pazzia” di parlare di “appartenenza al
territorio della luna e delle Sibille”. Peccato magari che tutto
questo finirà con l’esprimersi, al solito, nel linguaggio solo
festivaliero dell’avanguardia, anche se Lina Mangiacapre
smentisce:” Il mio cinema piace moltissimo al popolo, alla gente
semplice: io parlo un linguaggio che non parte tanto dalla testa
quanto dal ventre”. E continua:” Didone non è morta” è il mio
primo film professionale, a trentacinque millimetri: Mi è servito,
come esperienza, per capire come possa succedere che il cinema, la
troupe, il set, possano sostituirsi alla vita: è una sorta di
maledizione da cui nasce tanto cinema sul cinema dei nostri
registi professionale. Ecco, io spero di fare ancora tanto cinema,
ma di riuscire a sottrarmi alla maledizione del cinema sul cinema:
io voglio fare cinema sulla vita”.
Lei, che cosa si augura per il suo film: soldi, incassi, che cosa?
Coerente fino in fondo, risponde: ”Il mio film, io l’ho fatto per
Didone e per Napoli. Mi auguro che, entrambe, siano viste e amate,
nel loro vero volto, senza facili riduzioni o folclorismi”.
Anna Maria Mori
La Repubblica
11 dicembre 1986