Il mare sarà solo
Romanzo di Lina Mangiacapre
Edizione del Giano - 1993
Prefazione
Filosofia fatta di frammenti di un Ego esploso come una atomica, opera di liberazione e base per l’eliminazione di ogni categoria e appartenenza.
Necessità di futura lotta post-femminista. Romanzo in fuga da ogni linguaggio codificato, viaggio reale oltre che immaginario in cui mente e corpo
sincreticamente costruiscono una diversa forma di scrittura determinata da una condizione di vita e di morte altra. Opera alchemica di rivolta in cui
solo la macchina può diventare tramite di un fluttuare cosmico. Attraversare le immagini e disgregarli per trasmetterle in scrittura
(le mie tele in metamorfosi trasmigrano nella scrittura senza salto). Linguaggio circolare, energia unica fuori di ogni legge e pentagramma.
L. M.
Postfazione di Sergio Piro
Con ostinato manovellismo Lina Mangiacapre, in questo suo libro e in tutte le altre sue espressioni, è unica e plurima.
La singolarità pluripersonale, nel secolo che incomincia, costituisce il campo conoscitivo unificato di ciò che una volta si chiamava “mente”
(meglio nous che “mind”): questa parola, dannata e antichissima, deve essere intuita e abbandonata al suo orizzonte sterminato, tempestoso e buio,
in cui si intravedono, come case e castelli nel balenare dei lampi, anche il thymòf, la hyle e la hybris. Già da qualche anno è stato ostinatamente esplicitato
che un processo trasformazionale dell’animo umano può essere pancronicamente rappresentato come la sovrapposizione al alta velocità di due o più sotto-insiemi
di eventi umani, ciascuno inizialmente denotante la parzialità d’alone di un’unità singolare. Il risultato, così è stato finora ostinatamente esplicitato in
tanti altri scritti ma con altri termini, è la declinazione del destino di ognuna delle due unità singolari o delle molte unità singolari iniziali.
Deve essere ora esplicitato ostinatamente che il declinarsi del destino non può che essere attribuito alla singolarità multi personale. Così la declinazione attiene
ostinatamente a tutte le persone immaginabili come costituenti parallele della singolarità. E da questo ostinatamente consegue che la declinazione si propone come
persona trasversale che taglia tutte le altre persone dells singolarità negli orizzonti catastrofici del taglio epocale: così in un prima e in un dopo, in un’armonia
tonale e in un’armonia atonale, in una composizione e in una dissoluzione dei tratti figurali, e cos’ ostinatamente ponendo immagini cronodeticamente bifide e
cromaticamente opposte ai lati dell’abisso trasversale.
Ostinatamente si propone ora l’immagine nuova di una persona trasversale, cioè sincronica, nell’insieme variopinto delle multiple persone diacroniche di cui ciascuna
singolarità, cioè ciascuno di noi, è costituita. Questa persona trasversale, cioè sincronica, è una frattura epocale, un atto ostinato di disperazione che ha colori
diversi sui due lati dell’abisso. Perciò questo darsi sporadico di una persona trasversale – che è indizio certo dell’aprirsi ostinato di un processo di trasformazione
– non può essere parlato né scritto, ma deve essere silenziosamente gridato in luoghi assolati e deserti che non hanno eco.
La concretezza operazionale, che indica ostinatamente nel fluire e nei vortici di eventi minutissimi continuamente fra loro interreagenti un processo che non si
arresta mai, questa concretezza operazionale non-newtoniana, post-relativistica e post-quantistica non conosce altre strutture formate e grandi che non siano
risultanti statistiche di massa degli stessi innumeri eventi minutissimi: così ostinatamente in questa metafora immaginifica, le pareti iridescenti dell’abisso
trasversale che spezza il destino di tutte le persone diacroniche della singolarità fratturata hanno la stessa consistenza elusiva ed imperiosa delle pareti
delle bolle di sapone, delle pellicole superficiali e delle membrane cellulari, mentre il tempo scandisce un ritmo fortissimo e accelerato che immediatamente
le dissolve all’interno della stessa metafora nella quale esse furono necessariamente create e necessariamente nominate.
Perciò nell’ostinazione del processo trasformazionale la disperazione è il compimento del tema intenzionato dal presentarsi della frattura trasversale (sincronica):
e il subitaneo colmarsi dell’abisso come avviene per le onde del mare darebbe sicuramente distensione, analogamente a quel che avviene per la risoluzione armonica
di una dissonanza musicale. Poiché, fin troppo evidentemente, nella natura magmatica di una dissonanza musicale. Poiché, fin troppo evidentemente, nella natura
magmatica degli innumeri eventi umani nessuna frattura rimane incolmata per più di un tempuscolo fugacissimo. Ma qui, appunto, la complessità fluente del processo
trasformazionale incalza ostinatamente, con ritmi che non hanno tregua, e nuove fratture trasversali s’aprono là dove le precedenti s’erano chiuse. Così a una
frattura ostinatamente segue un’altra con una dissonanza sospesa e protratta che non trova risoluzione e alla disperazione subentra ostinatamente la disperazione.
Il ritmo cronico, battuto senza posa, chiarisce l’orizzonte armonico fino a renderlo del tutto incolore. Ora, con il subentrare ostinato d’innumeri fratture trasversali
successive, compare la stabilità, propria delle immagini ripetute al alta velocità, di un segno trasversale ostinatamente permanente che tende a configurarsi come
abito mentale ostinatamente acquisito, come persona nuova. E ostinatamente nella scansione continua del ritmo incessante, per l’accumulo di fratture trasversali
subentrano persone trasversali. Fratture trasversali continuamente subentranti creano ostinatamente una persona trasversale nuova e le persone trasversali ostinatamente
si seguono, così che ora la singolarità dinamica sembra ostinatamente composta dal comporsi della molteplicità di persone singole diacroniche parallele e della
molteplicità di persone sincroniche subentranti, come una sorta di rete dinamica che si svolge e mai s’arresta: pancronia fluente della disperazione continuamente
rinnovata della trasformazione trasversale e gioiosa, asserzione telica compresente nelle persone sincroniche che fluiscono l’una accanto all’altra. Poiché – questo
deve dirsi battendo con ostinazione un ritmo simmetrico – telia, sintelia e sindoxia sono le dimensioni della gioia selvaggia, così come le fratture trasversali
– che ostinatamente diventano, nell’accavallarsi continuo di onde d’esistenza, persone trasversali nuove – sono la dimensione tutto-abbracciante della disperazione
senza limite. Gioia della diacronia e disperazione della sincronia sono le compresenze ostinate della pancronia dello svolgimento ontico, inevitabilmente fra loro
contratte e composte.
Ora però il declinarsi del destino non può più energicamente denotare una qualunque persona trasversale all’interno della singolarità pluripersonale fluente, ma si dovrà
dire con ostinata approssimazione che esso – per essere veramente così drammaticamente esteso in senso trasversale da coinvolgere tutte le persone diacronicamente
fluenti – non può che costituirsi onticamente come abito mentale mutazionale, cioè come caratterizzazione pancronica “altra”, come parziale “alterità raggiunta”,
come “ostinazione” intenzionata. Ciò ostinatamente significa che quell’approdo metalogico che si chiama declinazione del destino implica una “alterità” dislocata
di tutte le persone sincroniche compresenti e concorrenti: ciascuna persona continua a decorrere nel tempo parallelamente alle altre ma di qualche tratto tutte
insieme spostate. L’orizzonte della declinazione del destino è dunque mutazione d’impronta complessiva, nuova consapevolizzazione trasversale. Ma, insieme e in modo
ostinatamente reciproco, ogni persona trasversale (cioè sincronica nuova) è persona mutazionale. Poiché infatti la ricchezza continuamente sviluppata delle persone
diacroniche parallele è seriazione di eventi propria e spontanea nella nostra immersione nel campo sociale continuo, mentre l’emergenza disperata e metallicamente
ostinata di una persona trasversale, dunque sincronica e dunque mutazionale, è insieme di eventi propri di un processo trasformazionale intenzionalmente innescato.
La persona multinazionale ha livelli di coscienza che sono ostinatamente elevati quanto lo è la sua disperazione esistentiva: la caduta delle denotazioni del patico
è atto di coscienza antropologicamente successivo a quello dell’attribuzione segnica alle emozioni e dell’attribuzione di relazioni causali al seguirsi degli stati
d’animo. Ora, se in uno schema di antropologia evolutiva analogica sulle ultime tappe dello homo sapiens sapiens, si attribuisse al primitivo l’irriflessione delle
emozioni e lo scatenamento prassico delle concatenazioni patiche interiori e, se nel passo successivo, si attribuisse all’uomo storico la discutibile arte di parlare
l’interiorità e di praticare l’introezione della logica cosale, cioè quell’attività che il linguaggio mediocre della psicologia clinica definì “razionalizzazione”,
si dovrebbe ora dire, con necessaria ostinazione, che l’acuta coscienza semantica e cioè la riflessione conduce al silenzio referenziale e alla sostituzione delle
proposizioni sbilenche e ridicole della logica cosale introiettata con l’abito proprio delle accettazioni di equilibri trasformabili.
Ostinatamente qui il senso deve sostituirsi al significato e all’interpretazione causale o genetica: al livello di coscienza della persona mutazionale non esiste più
possibilità di dare significanti verbali (inevitabilmente reistici) a significati emozionali e non esiste più la possibilità di scambiare per relazioni causali emozionali
quelle connessioni di eventi emozionali multipli che le culture sedimentano nella nostra interiorità.
Ecco dunque che la persona mutazionale sarà ostinatamente tesa all’espressionismo minimale e fluente della creazione di significanti emotivi per significati
emozionali (lirismo totale) e all’accettazione ironica di concatenazioni emozionali metastabili, storicamente provvisorie e topologicamente mutevoli.
La transpersonalizzazione deve essere definita come confutazione dell’identità, come istigazione alla non-innocenza, come rispetto della solitudine.
La gioia di essere solo non annulla i grandi temi dell’angoscia e della Geworfenheit, ma dà loro una compresenza necessaria antitetica.
Lirismo totale della persona mutazionale e accettazione ironica delle concatenazioni emozionali rappresentano qui, ostinatamente, il senso generale della mutazione.
Lima Mangiacapre compie ne “Il mare sarà solo” un’esplicitazione personale enorme: dia cronicamente mutante e sincronicamente trasversale fluisce come una rete di eventi,
che è la sua solitudine ostinatamente conquistata e ironicamente voluta.
A coloro che ormai sono schiacciati senza parole sulle pareti rotanti del vortice mutazionale, ostinatamente il senso patico complessivo si dà come lirismo totale.
Come ironia autoriflessiva, come sentimento acuto di alterità raggiunta.
Non si dà eco.
Foto
Rassegna
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