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Le nemesiache

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Interpreti e Protagoniste del Movimento Femminista Napoletano 1970-1990

Intervento di Conni Capobianco ad integrazione della presentazione del suo libro “Interpreti e protagoniste” Edizioni Mini-Manifesta al Madre Museo di Arte Contemporanea di Napoli – 24 ottobre 2021

Senza pretese di aver fatto storia del Movimento Femminista, questo libro è basato sulla tesi conseguita nel 1990, la cui relatrice è stata la coraggiosa Amalia Signorelli che dovette fare non poco affinché venisse accettata dagli accademici, dal momento che la mia è una laurea in Filosofia. Fortunatamente il professore e filosofo Aldo Masullo condivise il progetto come correlatore. Silvana Campese, Conni Capobianco e Sonia D'Alto


Questa foto vede Silvana Campese, Conni Capobianco e Sonia D'Alto dell'Ufficio curatoriale del Museo Madre, durante l'incontro che si tenne il 24 ottobre, con due gruppi storici femministi napoletani: Gruppo XX e Le Nemesiache.


L'intento del lavoro fu trasmettere una memoria storica e politica affinché non fosse dimenticata e archiviata come 'vecchia', dedicandolo a tutte le donne. E’ stato da parte mia un contributo rigoroso e meditato all'autocoscienza femminista. In quel periodo già mi consideravo una nemesiaca. Mi ero avvicinata al gruppo nel '76, quando lavoravo alla Mensa Bambini Proletari, un luogo fisico e politico dove si faceva animazione con i bambini e si affrontavano i problemi del quartiere. Lo spazio era grande e le donne, che a Napoli non hanno avuto mai un proprio spazio per confrontarsi, lo chiedevano di volta in volta a realtà più disponibili. Mi colpì di questo gruppo la metodologia politica diversa che avevano nel contrapporsi e denunciare la violenza, i soprusi e le ingiustizie nei confronti delle donne. Il modo di vestire era già un momento di lotta e di sfida, la gestualità, lo scegliere le parole adatte senza mai inveire e abbrutirsi, anzi la bellezza per loro era l'arma più importante.

Per me che provenivo dalla militanza in organizzazioni extraparlamentari e ancora lavoravo in un gruppo misto di sinistra quale la M.B.P. fu stupefacente, improvvisamente capii che finalmente avrei potuto riprendere me stessa, la migliore parte di me stessa continuando a lottare per i valori in cui credevo. Iniziata come Nausicaa - rifacendosi al mito ogni nemesiaca aveva il suo nome mitico ottenuto dopo un percorso non facile di autocoscienza, (la psicofavola di Nemesi) - ho fatto mio il progetto politico delle 'folli', delle 'amazzoni'. Uso questi termini perché così allora erano definite le Nemesiache.

Per scrivere la tesi e questo libro mi rivolsi a donne fondatrici o che semplicemente facevano parte di gruppi e collettivi femminili, le interviste sono di tipo aperto, ho voluto lasciare ampio margine di libertà nella costruzione della propria Storia, ho registrato le voci che sono mutuate in energia pura nel corso del racconto, la relazione si è basata sulla rispondenza e non su una risposta ad una eventuale domanda, il che avrebbe presupposto il potere di un sapere già dato.

In quel periodo il movimento era scisso tra una parte che procedeva su obiettivi rivendicazionisti, emancipatori, ponendosi in opposizione-omologazione con le realtà maschili e una parte, tra cui le Nemesiache, completamente autonoma da qualsiasi condizionamento maschile politico. Questo portava a fare un'analisi sul potere delle donne che inevitabilmente portava al potere tra le donne mettendo in pericolo il rapporto espressivo e il valore della dimensione desiderante, da cui il movimento femminista era partito. Valori che sono alla base del gruppo, valori che noi non abbiamo mai abbandonato e sono la garanzia che ci ha permesso di esistere fino ad oggi e lo saranno per sempre, perché essere nemesiaca è un modo di essere nel mondo al di là di regole e norme da seguire, è non aver mai messo da parte l'autocoscienza come metodologia di lotta.

copertia interpreti e protagoniste

Ad avvalorare questa tesi segue una riflessione: ogni donna che ha il coraggio di fare autoscienza nel quotidiano, in famiglia, nel lavoro, nei rapporti personali, nelle scelte di vita, ogni donna che non dimentica ed è consapevole che la memoria storica è la forza per costruire un futuro e che l'unica arma per combattere le ingiustizie è l'arte intesa come bellezza amore e armonia, può considerarsi a mio parere una nemesiaca. Dalla prefazione di Amalia Signorelli al libro “...uno dei livelli di lettura che suggerisce questo lavoro è quello autobiografico, un'autobiografia che non costruisce un'immagine pubblica per il mercato, ma cerca attraverso l'analisi del passato gli strumenti per vivere la vita ora e qui, in piena autonomia rifiutando la guida dello psicanalista, del sacerdote, del segretario di partito, del padre, del marito.

E' bene ricordarci queste caratteristiche dell'autocoscienza, è bene non dimenticare quanta rivoluzione c'è nell'autobiografia di tutte noi; il femminismo ha sempre saputo che proprio perché investe il privato, la rivoluzione femminista è la rivoluzione più lunga ed è ancora ben lontana dall'essere compiuta. C'è chi sostiene viceversa che è finita ma questo lavoro ci ricorda un fatto importante: quanto meno è cominciata”. E ancora: “… negli anni ’70 il femminismo a Napoli era molto presente e vitale. Di questo vivace e articolato universo le Nemesiache sono state un elemento originale e tanto vitale da essere attive ancora oggi (il libro è del 1994 ma le Nemesiache lo sono ancora!). Percorrendo l’itinerario che Conni Capobianco traccia attraverso i ‘documenti’ che propone, alcuni caratteri del gruppo si disegnano chiari. Mi sembra particolarmente importante la ‘separatezza’ da loro rivendicata sin dall’inizio non come un’autoghettizzazione difensiva, quanto come una condizione fondante di autonomia e essenziale per il dispiegarsi della creatività; ma ancora più significativa (e originale nel panorama femminista italiano) mi sembra la scelta della produzione artistica, della produzione di ‘bellezza’ come campo di lotta per la liberazione delle donne. E’ un’estetica assai radicale e assai suggestiva quella che i documenti testimoniano. Si tratta ovviamente di liberarsi dei modelli maschili e, soprattutto dei ruoli imposti alle donne e legittimati da quei modelli.

Ma c’è nel progetto delle Nemesiache qualcosa di molto più radicale: il loro obiettivo non è il recupero o magari la scoperta di una qualche specificità femminile, di cui, come si è detto, temono le implicazioni auto - ghettizzanti; il modello ideale a cui tendono è quello dell’androginia, di un mondo cioè, nel quale sia possibile risanare la lacerazione originaria e ricomporre l’originaria opposizione, sicchè ad ognuna/o sia restituita la possibilità, l’opportunità di scegliersi, di mettersi in giuoco, di giuocare e giuocarsi. .... Utopie?

Se si esaminano i documenti presentati in questo libro, un altro dato colpisce: l’inventività, la fantasia davvero creativa con la quale questo gruppo di donne riusciva in quegli anni a rendere visibili le proprie idee, a rappresentarle mettendole in pratica all’interno di situazioni sociali le più diverse, di estrema emarginazione (i bambini dei Quartieri Spagnoli, le ‘pazze’ dell’ospedale psichiatrico del Frullone) e di colta mondanità internazionale ( la Rassegna cinematografica di Sorrento). Se utopie erano, erano socialmente accettabili: che vuol dire che in quegli anni la società non solo aveva bisogno di utopie (e quando mai non ne ha?) ma consentiva a questo bisogno di manifestarsi e di cercare e trovare un proprio appagamento”.


Talismano

[...Si tratta di un libro inaddomesticato per il mercato, cioè libero dalle esigenze attuali dell’economia e, fortunatamente, la sua pubblicazione fa sperare nell’esistenza di editori ancora sensibili e attenti, che non si fanno sfuggire autori e autrici che, per quanto non abbiano una risonanza enorme o non siano in piena vetrina, ci donano scrigni, parti inaccessibili della loro vita. Sono dei piccoli tesori che si offrono al lettore e alla lettrice...]

Brano tratto dall'intervento di Stefania Tarantino (Università di Salerno-Adateoriafemminista), alla presentazione del libro presso la Galleria Fiorillo, Napoli - 20 giugno 2013.

Foto

Dan Kempes