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Teresa Mangiacapra

Vita e Opera

Teresa Mangiacapra/Niobe nacque il 9 luglio del 1948 nel paese campano di Sant’Antimo ma era ancora una bambina quando la famiglia si trasferì definitivamente a Napoli.

Quel passaggio rappresentò per lei una totale rivoluzione poiché negli anni che lo avevano preceduto in realtà non aveva avuto una normale vita in famiglia essendo stata praticamente allevata dalle prozie suore laiche, mentre il fratello Umberto e la sorella Lina/Nemesi, per ragioni familiari vivevano con altre zie. Il lavoro del padre, eccellente artigiano artista del legno, esercitò su Teresa un grande fascino e la grande falegnameria in cui egli lavorava fu per lei un paese delle meraviglie.



Quando, ormai adulta, dovette assistere impotente alla totale distruzione del laboratorio paterno a causa di un incendio e successivamente, ancor più impotente, al declino psicologico e fisico del genitore, Niobe, ormai affermata scultrice, raccolse i resti bruciacchiati di quel luogo ‘sacro’ e ne fece opere d’arte che entrarono a far parte della bellissima mostra del 1991 “Il Tempo e gli Angeli” ad Ercolano, nella suggestiva Sala delle Scuderie di Villa Campolieto. Perché il tempo e gli angeli? “...come il restauro è raccogliere la memoria di un passato per preservarla e trasmetterla nel futuro, molte di queste mie sculture sono il desiderio di recupero di una memoria personale travolta da un fuoco fatale e tra le sue ceneri ho cercato ciò che le mie mani hanno ‘sentito’ di dover preservare, recuperare, assemblare, rielaborare, ricostruire...”

Determinante per l’evoluzione umana ed artistica fu il rapporto con la sorella che la rivelò a sé stessa e le permise di far emergere tutta la sua bellezza interiore e soprattutto il suo grande femminile, la sua straordinaria forza creativa. Tuttavia la sua identità di artista eclettica si consolidò con la formazione del gruppo delle Nemesiache e la stessa Niobe affermava che la sua ricerca era cominciata con loro e da allora in poi non si è mai fermata. “Da piccola non capivo nulla della realtà. Lina era la verità: ho imparato tutto da mia sorella, i libri erano arabo, pur studiati. La filosofia? Soltanto da lei l’ho fatta mia: Lina metteva in ordine “le cose”, “l’extra-ordinario”, qualcosa che doveva essere altro, attraverso la poesia; tutto era vivificante.

Così nacque l’autocoscienza, da Roma a Napoli a Roma: la mente ed il corpo. Nasce anche allora, la psicofavola: la fata è Attanureta, colei che va indietro e avanti, vede la Donna come tale e non più soltanto come Madre (erano gli anni ’70). Cenerella, che diede il nome alla prima opera teatrale femminista, fu creata da Lina Mangiacapre. La protagonista esce dall’oppressione del principe, mentre io interpreto ogni personaggio, divento anche attrice. C’è bisogno di una presa di coscienza forte sul dolore sconfinato della donna; a Roma venivano anche gli uomini, ad esempio Moravia con Maraini. Poi cessò tutto. Le prime “contro” erano proprio le donne... Portammo i nostri lavori a Quarto Oggiaro (Milano), mentre io “cercavo forma”: non ero prigioniera, ma volevo estrarre forma intera da me. Devi osare, puoi, era una sorta di motto delle Nemesiache. E anche i materiali usati erano duttili, consoni “all’estrazione”, il tufo, la creta. Le alleanze, la felicità”. Un’armonia mai perduta...

Era il 1970 quando, insieme alla sorella fondò a Napoli il gruppo storico femminista, ideato da Nemesi durante i suoi soggiorni tra Roma, Milano e Parigi. Centrale in tutto il lungo percorso nemesiaco fu sempre il rapporto e la rivisitazione del Mito, che in particolare per Niobe e per Nemesi divenne il fondamento della loro ricerca artistica, dell’origine e dell’identità. In Teresa attraverso il tentativo continuo di evocarlo nelle sue specifiche forme d'arte che furono in primo luogo la scultura ma anche fotografia, recitazione e musica. Per la scultura i materiali utilizzati furono creta, tufo, plastica, marmo, ferro, legno… Il nome Niobe, in seno al gruppo, è anche lo pseudonimo con cui firmò le sue sculture perché nel mito di Niobe si può leggere l’importanza della trasmutazione della materia nel superamento del dolore. Il suo soggetto preferito è l’Angelo, come dimensione di armonia e di ispirazione, ricerca continua nell’arte come nella vita. Per Teresa Mangiacapra la figura dell’angelo è una dimensione totale e personale: gli angeli siamo noi e dobbiamo tendere ad uno stato di armonia. Essa ci sfugge perché è una nostra intima pulsione, la materializzazione di un’idea, di un sogno.

L’Angelo, dunque, come espressione di una dimensione di bellezza e allo stesso tempo simbolo di una eterna lotta contro qualunque ingiustizia e irresponsabilità, miseria e mancanza di spiritualità, simbolo della trasmissione e difesa della memoria e tanto altro. Per esporre i suoi lavori, ha sempre prediletto siti archeologici, chiese, chiostri. Come scultrice ha un altrettanto intenso e lungo curriculum, avendo partecipato con le sue opere sin dal 1983 a vari eventi importanti sul territorio campano e altrove, a cominciare da “Campania Felix” con la performance installazione “Io/Niobe/le altre”, la mostra “Stralci da una Storia: le Nemesiache” con esposizione di sculture in creta, e poi ancora eventi e mostre a Roma, Bacoli, Napoli.

A Niobe è sempre piaciuto sperimentare nuove tecniche, esplorare diverse possibilità espressive e materiali diversi. Infatti utilizzò il mezzo fotografico per ricreare o ritagliare la realtà secondo il suo desiderio. Il che le permise di realizzare straordinari lavori fotografici con immagini in digitale manipolate al computer: autoritratti, paesaggi, ritratti, molti lavori dedicati a Ipazia. Realizzò anche favole visive (multivisioni) ispirate a suoi brevi testi e presentate in vari ambiti artistici in Italia e in Francia. Ne nacquero opere straordinarie come “La principessa dagli occhi di vetro”, “Desiderea” lavori in b/n su Napoli e in diapositive a colore sui Campi Flegrei. Con la tecnica della pittofotografia realizzava autoritratti, ritratti e paesaggi: le istantanee una volta elaborate in digitale, venivano stampate su tela e a quel punto Niobe interveniva con colori acrilici o ad olio, creando e ricercando il punto di incontro o di rottura tra realtà improbabile e irrealtà probabile. Fu Niobe a curare il progetto grafico e l’impaginazione di Mani-Festa, il trimestrale di cinema, teoria, cultura fondato dalle Nemesiache nel 1988, diretto da Lina Mangiacapre e pubblicato per oltre un decennio fino al 1999 nell'edizione cartacea e dal 2000 al 2002 online.

Ha curato altresì il montaggio dei film in S/8 di Nemesi e lavorato in molteplici ruoli in tutti gli spettacoli teatrali, film e video. E’ stata da sempre la responsabile della direzione artistica della Rassegna del Cinema di Sorrento. In particolare nella “Didone non è morta”, oltre che come attrice nel ruolo importante di Anna, la sorella amatissima della regina, è presente anche come scultrice con suoi lavori in tufo, creta e ferro. Il film, del 1987, fu diretto da Lina ed è un lungometraggio di notevole importanza ed impegno a tutti i livelli. Fu presentato in vari festival tra cui ad Annecy in competizione, al festival di Tetouan in Marocco, al festival di Taormina, alla Rassegna di Sorrento e, unico film sul tema Didone ed Enea, richiesto al convegno mondiale tenutosi alla Sorbonne Nouvelle di Parigi. Nel 1987 Lina Mangiacapre creò il Premio cinematografico “Elvira Notari”, assegnato fino al 2001 da una giuria, da lei presieduta, alla “Biennale di Venezia”, alla cui Mostra del Cinema Teresa e la sorella con altre Nemesiache hanno sempre partecipato fino al 2017.

Il premio, consistente in una scultura di Niobe, fu sospeso nel 2002, anno della scomparsa di Nemesi, per essere poi ripreso l’anno successivo e da allora intitolato “Premio Lina Mangiacapre”. Installazioni di Niobe sono presenti sul territorio napoletano in modo permanente: ”Cornici” dal 2010 alla galleria Fiorillo Arte; 2011, “ Tria Fata” - Chiostro di Santa Maria La Nova; 2014/2015 ”Dittico dedicato a Teresa d’Avila” – Chiesa di Santa Teresa a Chiaia. L’ installazione “Une Armée d’Anges pour Sauver le Monde” partecipò alla Biennale di Venezia, Padiglione Campania, 2011; presentò le sue “Sculture da indossare” al PAN e nella Galleria Al Blu di Prussia nel 2014; nel 2015 l’opera “ Essere LeAli ”,un albero ‘poetico’; nel 2016 l’installazione “Muri di veli, mari di plastiche” scenografia della performance teatrale “ Lilith l’Origine “; nel maggio-luglio 2017 ci fu personale nella sede d’arte della My Es di Napoli dal titolo “Della Stessa Materia del Sogno” comprendente dipinti, installazione e performance. La trasformazione dell’installazione “ Cornici “ in “ Rosario di Pietre/Preghiera al Vento” fu tra le sue ultime opere. Di grande valenza simbolica i lavori dedicati al Tibet. Si pongono ben oltre il didascalico “racconto di viaggio”. “ Il Tibet è un sogno, un sogno che stiamo perdendo e che tutta l’umanità dovrebbe difendere e salvaguardare’.

Niobe, che aveva visitato quei luoghi incantevoli, restandone molto affascinata, era in profonda empatia con il popolo del Tibet, la regione adagiata sul tetto del mondo, che difendeva coraggiosamente la propria identità territoriale e culturale dall’aggressione cinese. In quei giorni di violenza e sopraffazione per il popolo tibetano, Niobe stava portando attraverso l’Italia la sua Mostra “Vibrazioni su scale di differenze” ispirata al suo viaggio in Tibet. A Napoli fu allestita nella Sala del Prigioni di Castel dell’Ovo. Niobe dal 2009 partecipò ogni anno alle edizioni di Land Art nella zona dei Campi Flegrei. Per la sua città progettava azioni e performance di vera e propria denuncia e ribellione contro “la stratificazione e la diffusione di abitudini nocive, devastanti per il territorio, contro l’inerzia e la passività di fronte al dilagare della bruttezza, della volgarità, dell’insensibilità e della violenza che si traducono in confusione e sporcizia, dentro e intorno.” Nel 2011 il suo progetto “Liber...e - azioni per Napoli”, suoi testo e regia.

Dal testo di Niobe: “Ritrovare il filo di Arianna... Uscire dal Dedalo delle strette strade di Napoli, senza sole e senza mare, trovare la via che porti via! Dal caos di voci e suoni e intenti e logiche prive di amore, via da pensieri disarmonici, costruiti su sensi unici pericolosamente in bilico tra indifferenza e superattivismo, a fini di sopravvivenza o lucro… omissis... Rallentare, abitare ancora lo spazio, trovare ancora il tempo, raccontare, raccontarsi in lingue diverse, giocare, sorridere, non avere timore di esprimere la propria sensibilità… Accumuliamo, accumuliamo bellezza, perché è l'unico vero traghettatore tra materia e spirito… Bellezza come anelito al cambiamento di codici di divisione, perché non può non esserci condivisione alla bellezza tra chi ha differente età, stato sociale, sesso, aspetto fisico, cultura, lavoro... Buttiamo giù questa torre di Babele che è stata costruita non con popoli, lingue e culture differenti, ma con il fanatismo, il dispotismo, la strafottenza e la violenza di chi vuole sopraffare...”

L’azione, itinerante per la città, divenne un video in cui le attrici partecipanti sono liberamente in azione con lenzuola dipinte. L’itinerario scelto fu particolarmente simbolico per iniziare il discorso di riappropriazione del territorio e della sua bellezza. Si partiva dalla Istallazione di “Cornici”, visibile nel cortile dello spazio Fiorillo Arte perché lì era nato il desiderio di coinvolgimento di altre artiste e artisti che hanno Napoli nel cuore, si apriva simbolicamente il portone principale di Palazzo Serra di Cassano e di lì si ripartiva, quasi come in una sospensione di storia, da quel fatidico ’99 per salire verso il Monte Echia, nucleo originario della città, poi si scendeva per le rampe Lamont Yang, l’architetto che aveva il grande sogno di una Bagnoli bella come Venezia, e ci si fermava presso la sua dimora abbandonata, distrutta, bruciata, ricettacolo di spazzatura. Poi di corsa verso il mare per approdare presso i miseri resti di quello che fu il Lido Pola, infine sulla bella spiaggia di Trentaremi, stuprata e deturpata senza pietà.



Una frase di Vitaliano Corbi, illustre critico d’arte e giornalista colto e raffinato, deceduto nel 2010, tra le moltissime altre, sembra la sintesi della vita di Teresa, una rappresentazione simbolica e che emoziona chi l’ha conosciuta ed amata, come le Nemesiache. Infatti con il senno di poi, fu antesignana di quel che è accaduto qualche anno dopo, con la scomparsa di Niobe. E’ volata oltre il varco dello spazio-tempo... “Il mito, il destino e l’infinità dell’ultraterreno. Nelle sue sculture c’è un varco che, attraverso il tempo, ci mette in comunicazione con il nulla.” Il Mito fu per Niobe il fondamento della sua ricerca artistica e nelle sue sculture lei, come disse Aldo Trione, altro grande critico d’arte, torna alle origini, per cui il nulla è “...sfondo lontano ed inattingibile; eppure tutto è in noi, nelle primalità attraverso le quali ci costruiamo”. Memoria, dunque, conscia ed inconscia.

Da “Il tempo degli Angeli” a Villa Campolieto, a “Evasione di Angeli da Roma verso Partenope, Pestum” nella Piscina Mirabilis di Bacoli e poi nella Chiesa del Purgatorio di Pozzuoli, a “L’Antro degli Angeli” a Baia e Bacoli, a “Vibrazioni su scale di Differenze” , a “Omaggio al Tibet ed Angeli virtuali”, Niobe, creatura di nascita e di Tempo continuava ad angelicare dimensioni, luoghi e spazi... Così alla Fiorillo Arte di Ornella Fiorillo, dove, a partire dal 2010, fece di un cortile stretto tra muri di Storia-non storia un luogo tutto da vivere tra la dimensione onirica e quella angelica, infine rielaborata in forma di ulteriore varco verso l’oltre. E poi ancora nelle chiese, nei chiostri con installazioni permanenti. Impossibile in questo contesto dare spazio a tutte le mostre. Ininterrottamente, anno dopo anno, tra collettive e personali, Niobe c’era. Sin dal 1974 a Napoli, allo Spazio libero in occasione della “Settimana della creatività” al 25 luglio del 2017 con “ LA CERTEZZA E IL DUBBIO” a Napoli al Teatro TRAM a Port’Alba 30, nell’ambito di Artperformeingfestival 2017 con una Performance in tre parti : L’iniziazione, Maddalena Pescatrice di anime; L’incontro.

La realizzazione vide la splendida collaborazione di un gruppo di artiste ed artisti tra cui in special modo per la sceneggiatura e la danza Ginny Sykes. Il 24 ottobre dello stesso anno, presso la Galleria Fiorillo Arte, in occasione della inaugurazione della personale di Otello Ciarciaglini dal titolo “ Riflessi “, Teresa presentò il nuovo Progetto di trasformazione/istallazione da “ Cornici “ a “ Rosari di pietre – preghiera al vento“. Pietre nere a comporre ‘rosari di pietre’; Angeli del Silenzio uniti al Libro degli Angeli ed una “Preghiera al vento “ di Niobe che, riportata su lastre specchianti, diventa mare. Invito a giocare con il riflesso di sè che suggerisce nuove e inattese risposte , invito alla preghiera come attraversamento di coscienza che può indicarci via e percorso. Era il 17 marzo 2018 quando allo SPAZIO MIMAB, in Via Nilo a Napoli, ci fu una performance a più voci “ Il Canto delle Sirene” che fu anche per Niobe il canto del cigno... Ma un cigno che ancora aveva energie per rialzare il suo splendido capo e lasciarci una commovente, trascinante, imprevedibile testimonianza di vita, a conclusione dell’evento che vide il 23 marzo, dopo la presentazione presso la Galleria d’arte Al Blu di Prussia, importante galleria d’arte partenopea con sala per proiezioni ed eventi, del suo libro “Domenica 20 luglio 2008 – Confessioni di un ex killer”.

Nel testo Niobe intraprende un viaggio esplorativo nel noir, nel racconto delle efferatezze di un killer di camorra, pentito, realmente esistito, del quale il vero nome non viene mai fatto, “e non lo dirò” disse l’autrice nel corso della presentazione. La confessione è un testo straniante, tanto che la stessa Niobe raccontò di aver cominciato a scrivere come in “delirio” tutta la notte dopo che il suo amico poeta Vincenzo Abate le aveva proposto il soggetto, molto singolare ed inquietante. Nel titolo c’è la data di quell’input fortissimo, che agì su di lei con un risucchio inesorabile, facendola inoltrare in un flusso di coscienza attraverso il quale cercò di interrogarsi nel profondo: “ su un terreno da me troppo temuto e sconosciuto ma tutti – e dico tutti i terreni – ci appartengono una volta che la mente li ha partoriti”. E fu subito un fiume in piena. Ma Teresa nella sua vita scrisse sempre moltissimo: quelle «libere riflessioni» così come amava definire i suoi contributi apparsi nel tempo sulle pagine di numerosi periodici d'arte e cultura tra cui «Manifesta», «Il foglio del Paese delle Donne». Le Nemesiache custodiscono i suoi testi, gli articoli, i brevi racconti, le poesie e le prose poetiche. Sul fronte editoriale pubblicò anche, nel 2014 la raccolta di poesie a due voci con Vincenzo Abate per Oèdipus “Umori” che fu presentata nel 2016 anch’essa al Blu di Prussia.

Domenica 20 Luglio 2008. Confessioni di un ex-killer

di Teresa Mangiacapra/ Niobe.
Aletti editore, febbraio 2018



Presentazione di Patrizia Melluso

“Domenica 20 luglio 2008. Confessioni di un ex killer” di Teresa Mangiacapra/Niobe fu presentato a Napoli, al Blu di Prussia, il 23 marzo 2018. Non ti aspetti, da un’artista che negli anni hai conosciuto come scultrice, ma anche poeta, e performer, un’artista che, con le Nemesiache, ha militato per la bellezza con determinazione ispirata e coerente, questa immersione nel male che è “Confessioni di un ex Killer”. Dal mito e dagli angeli, suo centro di interesse, con questo testo Niobe intraprende un viaggio esplorativo nel noir, nel racconto delle efferatezze di un killer di camorra, pentito, realmente esistito, del quale il vero nome non viene mai fatto, “e non lo dirò” ha detto l’autrice nel corso della presentazione. La confessione è un testo straniante, tanto che la stessa Niobe racconta di aver cominciato a scrivere come in “delirio” la notte stessa in cui il suo amico poeta Enzo le ha proposto il soggetto, la storia di un ex killer; era il 20 luglio 2008, la data che compare nel titolo. Ha pubblicato il libro 10 anni dopo quell’inizio febbrile e, forse consapevole di aver dato vita ad un testo inquietante, ha corredato la storia con la prefazione di Rita Felerico e la postfazione di Silvana Campese, ma anche con i commenti di Conni Capobianco, Nunzia Fasano, Bruna Felletti e Giuliana Leoni. A loro Teresa ha chiesto di commentare, conoscendola da tempo, questa specie di immersione nell’inferno delle parole, crude e sentimentali, che costituiscono la confessione di Matteo Santo, il killer.

Teresa non lo ha mai incontrato, come spiega nell’introduzione; ci ha parlato brevemente, una sola volta, al telefono. Eppure, ne ha scritto le memorie, inoltrandosi in un flusso di coscienza “attraverso il quale ho cercato di interrogarmi nel profondo su un terreno da me troppo temuto e sconosciuto ma tutti – e dico tutti i terreni – ci appartengono una volta che la mente li ha partoriti”. Per vincere la paura, quindi, Niobe ha dato voce – e ricordi e lamenti e recriminazioni – ad uno sconosciuto, un uomo del quale è riuscita a “toccare l’anima” pur provandone orrore.

Il racconto è fatto da una doppia voce: una parla in terza persona, l’altra in prima. Ma non bisogna credere che all’una appartenga l’oggettività e all’altra la soggettività. La terza persona racconta, descrive, a volte interroga, quasi con posizione neutra di un’intervistatrice. Ma, altre volte, inveisce, protesta, si indigna. E anche l’ex killer che parla in prima persona non è sempre coerente con lo stile interiore e soggettivo della confessione. Comincia dai propri incubi, dalle domande ossessive che in essi si ripetono (“Quanti? Dimmi quanti”), racconta i turbamenti dell’infanzia e il forte desiderio di compiacere il suo fratello “maestro”, educatore e aguzzino, e l’acuto senso di solitudine che lo divora, ora che sa di aver buttato via la propria vita e, quasi, si pente di essersi pentito. Ma, poi, il racconto in prima persona diventa a volte oggettivo, come quando Matteo Santo parla, con tono tecnico, dei propri maestri nell’arte dell’auto controllo: giocatori di poker che restano imperturbabili quando bluffano, borseggiatori che fanno il proprio lavoro mantenendo l’immobilità dello sguardo, del viso, “del busto almeno fino al petto”.

Di questi scarti, di questi salti, di queste differenze di tono e di contenuto ce ne sono molti, nel libro di Teresa Mangiacapra, c’è, infatti, dell’ironia, che emerge attraverso e nonostante tutti i racconti violenti e dolorosi, tutte le espressioni sentimentali grondanti pentimento e rimorso e rimpianto di Matteo Santo. E’ come se l’anima gioiosa di Niobe, seppure a confronto con una cultura feroce, che non è la sua, riemergesse, facesse capolino, si affacciasse qua e là in queste pagine che si leggono con un permanente senso di angoscia. Ad esempio, quando in terza persona dice: “Rivoltare merda non fa bene a nessuno – potrebbe dire qualcuno con la puzza sotto il naso – o forse con le mani pulite solo perché fa lavori con i guanti. Anche Matteo li usava. Ne ha consumati tanti e forse ricorda più i suoi guanti che i volti delle sue vittime.” Quattro metafore (rivoltare merda, puzza sotto al naso, mani pulite, lavorare con i guanti) e poi, di botto, un riferimento concreto, banale e terribile, i guanti, quell’attrezzo di lavoro del killer, che Matteo ha consumato in grande quantità. Ci sono molte tracce da seguire nel libro di Teresa Mangiacapra, c’è il tema della paura, c’è il male nella sua ambivalente accezione – il male interiore, il male sociale -, c’è il tema della solitudine e quello dell’innocenza, il tema della memoria e quello dell’impossibile salvezza, c’è la confessione e l’autoassoluzione, la ricerca d’aiuto e la condanna definitiva.

La scultrice Niobe, questa volta, ha rimestato e assemblato parole al posto dei consueti materiali plastici. Ne ha tirato fuori, anche in questo caso, un’opera espressiva, dal forte impatto emotivo.  

Dan Kempes