donne con maschera

Le nemesiache

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Cenerella - Psicofavola


Soggetto Sceneggiatura Regia: Lina Mangiacapre
Musiche Originali: Nemesiache
Nazionalità: Italia
Durata: 90 minuti
Anno: 1973
Produzione: Cooperativa Le Tre Ghinee

E' la denuncia dell’oppressione di una donna – Cenerella -, isolata fra tre uomini: il padre e i fratelli che rappresentano la cultura maschile, ingannata dal mito dell’amore – il principe -. La mancanza di conoscenza della storia di lotta e di morte delle altre donne è la perdita della propria memoria storica, personificata dalla Donna- Memoria. La scelta di legare all'uomo il proprio destino è la perdita dei propri poteri di donna: magia, alchimia, astrologia, del proprio corpo, ed è la perdita di Attannurreta, la dimensione totale e autonoma del femminile. Attannu e Arreta, termine della tradizione orale popolare napoletana. Cenerella - Donna Memoria - Attannureta, sono una stessa realtà divisa in tre aspetti che ritrovati e riuniti conducono alla liberazione.

6 – 7 maggio 1973 - Teatro Club - Napoli
9 – 10- 11 febbraio 1975 Teatro il Quarto – Quarto Oggiaro – Milano
9 marzo 1975 - Teatro degli Stracci – Napoli
29 -29 giugno 1975 Arsenali - Amalfi

Rassegna

Femminismo/ Cenerentola – Vista dalle donne
AUT – Maggio 1973 di Adele Cambria

Dicono:” Noi denunciamo, noi rigettiamo, noi rivendichiamo, noi ci esprimiamo: con il teatro”. Dicono:” Sino ad ora la donna è stata espressa dall’uomo e si è espressa tramite l’uomo che capitalizza la sua creatività, le sue idee, il suo lavoro, le sue energie vitali. Usiamo il cinema per vivere la nostra creatività, la nostra fantasia, la nostra immaginazione. Perché questo ci diverte”.

Due documenti femministi, il primo del gruppo napoletano “Le Nemesiache”, l’altro del Collettivo Romano Femminista di Cinema, parlano coraggiosamente a questo modo e, dando per scontati i sarcasmi, centrano il problema dello spazio culturale che le donne hanno bisogno di gestire, finalmente, in proprio, in prima persona: muse, ispiratrici, ninfe egerie, male femmine o vipere, le donne sono state quasi costantemente “viste” dagli altri (dagli uomini) in ogni tipo di espressione o rappresentazione culturale, dal poema omerico a quello scespiriano o dantesco, e ancora nella pittura e nella statuaria, dalla iconografia etrusca a Moore, nel teatro – da Euripide a Goldoni a Beckett – perfino nel cinema,, un mezzo di creazione relativamente giovane. Le donne non creano, sono create, inventate dagli altri secondo schemi che esprimono la mentalità dominante (maschile): la donna, sia pure “protagonista” di romanzi, poemi, spettacoli, ecc. si limita ad essere ciò che l’uomo proietta su di lei: così l’inconscio maschile, cercando di padroneggiare o addirittura di negare i concetti di natura, amore, male, peccato ne fa delle attribuzioni della femminilità, li trasferisce sopra la donna, inventa Circe ed Eva; ancora, il desiderio maschile di dominio e possesso crea l’immagine della donna passiva, sottomessa, impotente, da proteggere (Lucia Mondella).

Così la repressione sessuale che l’uomo subisce, oggi, nella famiglia ancora, culturalmente patriarcale,, nel lavoro, attraverso la pornografia alimentata dal sistema, lo porta a mitizzare la verginità, la purezza, la fedeltà: e se Dante inventava Beatrice e Omero Penelope, la disponibilità sessuale opaca ed avida di compensi della Cecilia moraviana non è che l’ammissione di un fallimento maschile: la donna non-vergine è vista, nonostante tutto, come un disvalore. Persino le fattezze fisiche delle eroine, la loro esteriorità, è inventata dall’uomo, secondo un canone estetico variabile, da un tempo all’altro, ma la cui costante è la celebrazione del rapporto sadomasochistico: da L’Angelo Azzurro a Ultimo tango a Parigi.

L’esigenza di dire di sé in prima persona, che più acutamente oggi le donne sentono e si provano a soddisfare, con tentativi di teatro, di cinema, anche di romanzi femministi, non rifiuta, al contrario, gli apporti, in qualche modo miracolosi, che alcune donne, nel corso della storia culturale dell’umanità, sono riuscite a dare comunque: se ne tende anzi al recupero, partendo dall’analisi, che deve essere estremamente lucida del livello di autocoscienza (coscienza della propria condizione di donna) che ciascuna ha espresso: per stabilire, cioè, fino a che punto siano riuscite ad esprimersi come donne, e dove abbiano invece subito, anche qui la colonizzazione maschile: in una tale analisi, Saffo si opporrebbe evidentemente, a George Sand, che perfino nella scelta del nom de plume, maschile, rifiutava, quasi con isteria (ma avrebbe potuto dare diversamente?) la propria identità.

Né l’inevitabile (anche sana) rabbia sovversiva del femminismo può rifiutarsi, nei tempi lunghi, di accogliere parole di uomini la cui intuizione poetica abbia decifrato ed espresso l’identità femminile: così Rimbaud: “Quando sarà spezzato l’infinito servaggio della donna, quando ella vivrà di sé e per sé…sarà anche lei poeta. I suoi mondi di idee differiranno dai nostri? Ella troverà delle cose strane, insondabili, ripugnanti, deliziose: noi le prenderemo, noi le comprenderemo”. Strane, insondabili, ripugnanti, deliziose: sono tutti aggettivi perfetti per descrivere, nella loro situazione di scena, le ragazze di Napoli del gruppo “Le Nemesiache”. Un seminterrato all’Arenella, la zona più popolare del Vomero, il loro teatro: una lanterna rossa di carta sulla porta piccola: e manifesti disegnati e colorati a mano, uno per uno, dicono il titolo dello spettacolo: Cinerella, psicofavola, e segue l’annuncio che a molti maschi (di malafede) appare provocatorio: “esclusi gli uomini”.

L’operazione compiuta dalle ragazze napoletane è stata la rilettura della favola classica di Cenerentola, cercando di individuare e distruggere (piuttosto che rovesciare) la “patriarcalità”: intanto, le due sorellastre cattive di Cenerentola sono diventate uomini, cioè si denuncia la mentalità sopraffattoria come tipicamente maschile: la sopraffazione culturale è identificata con la maschera di Aristotile ( e magari la schematizzazione può essere rozza). Cenerentola, “casalinga”, ossessionata dal padre e dai due fratelli di cui è al totale servizio, riesce a esistere “ in proprio” soltanto nel contatto vitale, arcaico che mantiene con la natura (quest’idea della primitività misteriosa e sacra della donna, come di terra-madre, è rifiutata da gran parte delle femministe, che nell’identificazione donna-natura temono di vedersi contrapporre, ribadito, il dominio razionale dell’uomo).

I luoghi e i personaggi classici della favola – il bando che annuncia il ballo al castello, il principe che cerca moglie – sono rappresentati buffonescamente, con gentile sarcasmo: anche Cenerentola cede alla mistificazione (matrimonio eguale felicità) per il suo bisogno d’amore, e una fata madrina di estrazione mitologica, Attannarruta, l’ammonisce sui rischi che corre: “Per me sei bellissima come sei, con questa tunica di cenere, ma poiché gli uomini non ti vedrebbero, poiché nessun uomo è capace di vederci davvero, ti vestirò di stelle…”.

Cenerentola si sposa (il padre stende un regolare contratto di vendita col principe), ma la favola non finisce: lui parte lasciandola incinta per una guerra che è, insieme, rappresentazione del bisogno di violenza dell’uomo e della sua competitività: una guerra che può essere una carriera politica o di manager, un traguardo scientifico o la conquista dell’Everest, o del grado di capufficio, tutte mete, comunque, da cui la donna-moglie è esclusa: “E mi conforterà il saperti – proclama il principe – al sicuro nella mia casa, al sicuro con mio figlio”. Che poi appena nasce glielo toglie, “perché cresca uomo tra gli uomini”, sottratto alle carezze femminili che l’infiaccherebbero, sapiente e non ignorante come sua madre; come le donne.

Può sembrare a qualcuno elementare questa rilettura della favola, come l’hanno data “ le Nemesiache” a Napoli, la settimana scorsa (l’occasione polemica era la celebrazione della festa della Mamma, fissata dal calendario dei consumi al 13 maggio): e quanto le donne siano ancora condizionate dal rispetto e per l’opinione pubblica, che è poi l’opinione dominante, cioè maschile, lo si è visto nel teatrino dell’Arenella: la elementarità della rappresentazione, ispirata tuttavia ad un modello preciso, il coro greco, la povertà delle luci, dei vestiti, l’inesistenza dell’addobbo scenico, la fatica e l’emozione che rompevano le voci delle ragazze, sono sembrate anche ad alcune femministe, tra il pubblico, come segni di una imperfezione dello spettacolo che doveva a tutti i costi essere nascosta: eppure Lina, la leader delle Nemesiache (ma le femministe non riconoscono, tra loro, leaders) l’aveva detto, ad apertura dello spettacolo: “Noi rigettiamo qualunque discorso tecnico e scientifico come valido: rivendichiamo la forza dei contenuti, che non ha bisogno di effetti scenici (n.d.r. Tra l’altro, la grazia di queste otto ragazze, gracili, con lunghi capelli, in scena, costituiva di per sé un dato poetico, ed anche una novità non priva di glamour spettacolare): noi rivendichiamo anche l’imperfezione come continue possibilità aperte”.

Dan Kempes