La Psicofavola (metodo teatrale e di autocoscienza di Lina Mangiacapre)
Il nostro gruppo si è posto in termini totali ritenendo importante
come forma di liberazione la parola e la gestualità,la nostra
forma di autocoscienza è la Psicofavola. In questo senso il teatro
(psicofavola) non è un mezzo ma una forma di liberazione
psicoemotiva che riprendendo le tracce storiche dei contenuti
culturali volutamente confinati nella dimensione irreale del sogno
e della fantasia intende porle come storia e realtà della nostra
dimensione: il femminile.
Attraverso la psicofavola tutte le repressioni fatte alla nostra
emotività e al nostro corpo esplodono e ritorna l’armonia non come
conseguenza di organizzazione ma come espressione e comunicazione
di ritmi attraverso cui ci si libera e si libera. La fase estrema
della psicofavola è lo stato finale dell’autocoscienza, cioè dal
momento in cui il ritmo si è creato fra noi, la dimensione storica
culturale è diventata reale, si può manifestare all’esterno perché
l’energia che passa fra noi diventa sintesi e forza che non potrà
essere intaccata e può propagarsi ed espandersi. Il nucleo della
psicofavola, la certezza, la verità è nella visceralità che
diventa una forza originaria e travolge la stessa autorità
scientifica. Le intuizioni della psicofavola sono delle chiavi con
cui si arriva alle ragioni ed alle origini delle oppressioni,
quindi al come liberarsi. La psicofavola è stata la prima forma ed
il primo testo di teatro femminista in Italia, per la prima volta
è stata rappresentata a Napoli nei primi di maggio del 1973 in un
teatrino dell’Arenella, l’ingresso era vietato agli uomini. Siamo
partite da dove eravamo, i nostri vestiti, le nostre capacità
tecniche, l’espressione deve essere reale storicamente e non
falsificata, così abbiamo realizzato le psicoluci, la psicomusica,
tutto nel senso della nostra espressione totale e della
circolarità dell’energia.
Il nostro volantino sul teatro, il rifiuto della critica, il
rifiuto di vedere il momento teatrale come la riproduzione della
realtà e non come la realtà. L’ultimo volantino sul teatro fatto
in occasione della psicofavola ad Amalfi dice:”… il teatro è
inteso come rappresentazione o interpretazione culturale di una
realtà che si svolge altrove, ma è concretizzazione ed evocazione,
come nei rituali magici l’evocazione della pioggia non è
l’interpretazione della pioggia ma la preparazione all’evento,
quindi la pioggia stessa…”. In questo senso la psicofavola è la
nemesi, perché nella denuncia della violenza ci si libera dalla
violenza e propone una storia diversa: la storia al femminile,
l’ordinamento cosmico diverso dell’armonia, dell’equilibrio, della
vita.
Cenerella prima psicofavola di Lina Mangiacapre:
“E’ un testo che ho scritto come forma diretta di psicofavola
verso il 1970. L’ho scritta come una mia storia personale nelle
storie di sangue di tutte le donne, come mia storia di lotta per
non avere dimezzata la mia realtà: io – una donna, la mia realtà,
fuori da tutte le interpretazioni i ruoli e le limitazioni di
tutti gli scrittori, i poeti, gli scienziati, ecc..
Ho scoperto mentre scrivevo la psicofavola che ritornavo alla
favola dell’infanzia; ritrovavo la percezione lucida
dell’imbroglio, il rifiuto di diventare Cenerella, il rifiuto di
odiare la matrigna, il rifiuto di sposare il principe. Eppure
Cenerella “la casalinga” non era esaurita nella categoria
economica in cui la si voleva confinare, Cenerella era la vita,
energia, sogni, lotta; solo che le sue energie erano in relazione
al maschile, il principe era la possibilità stoica della
liberazione del padre. Cenerella sposando il principe diventa in
teoria una privilegiata, di fatto realizza il suo destino di
oppressa e di isolata. La presa di coscienza attraverso la
violenza della maternità il principe la usa per farle generare il
figlio che servirà come esperimento scientifico e continuazione
del suo potere e della sua stirpe, attraverso la disperazione, il
rifiuto ed il suicidio, la presa di coscienza come solitudine,
Cenerella (Medea) uccide il figlio e se stessa. La donna memoria è
la donna che resta nella storia di sangue e di sofferenza, di
parto e di lacrime, la donna che muore e rinasce, il termine
media, il ricordo fisico e la condanna storica. Ero io la donna
come coscienza della violenza attraverso mia madre, le donne della
mia infanzia, le altre donne che avevo incontrato in rapporto alla
maternità ed all’uomo.
Attannureta: la strega, la fata, termine che mi era rimasto dalla
tradizione orale della favola che mi raccontava mia zia (che vuol
dire indietro nel tempo ed ora subito). Attannureta è la
dimensione femminile totale che vive solo in relazione a se
stessa, all’armonia, alle altre donne e che viene emarginata dalla
storia della terra e dalle altre donne nel momento in cui si
pongono in relazione al maschile e si scelgono nella storia di
morte. Attannureta aiuta Cenerella, è la sua magia, la sua
energia, la mette in guardia contro l’inganno storico
dell’identificazione, dell’amore nel principe; Attannureta
aspetterà e lotterà perché di nuovo possa vivere tra le donne,
perché Attannureta “me stessa” possa vivere tra le donne, tutte le
donne devono diventare Attannureta. L’unità tra donne, la denuncia
della storia dell’uomo come storia di morte; la realizzazione
dell’unità attraverso la costruzione e la storicizzazione del
diverso. Tutte le Cenerelle non moriranno se si uniranno
nell’armonia e nella vita: (“…Amore e vita sarà la nostra storia,
la nostra favola inizierà ora, subito insieme spezzeremo le catene
e creeremo magia, libertà, magia, libertà. Ora torna Nemesi, torna
l’origine…”). Attannureta ero io non vista; era l’impossibilità
per la donna di vedere l’altra donna se si poneva in relazione e
dentro la cultura patriarcale maschile, Attannureta è tutta la
dimensione culturale e storica, il particolare ricco di sfumature
dell’ego e della personalità delle donne stravolte e strangolate
dai ruoli e dai limiti in cui la visione maschile del cosmo ha
confinato il femminile.
Attannureta è la denuncia che il femminile è una dimensione ed una
fonte di energia diversa che continua a vivere ed intende
storicizzarsi.
La psicofavola esprime i contenuti del nostro gruppo e i problemi
vissuti a livello totale, fisico e psichico. Il testo è quindi,
dal momento che si realizza, l’unico testo possibile perché
l’energia e la lotta si esprima unendoci e liberandoci. Nel testo
c’è il nucleo dell’oppressione e la chiave della liberazione.
Quindi questo testo e non altri.
L’incontro con l’esterno ed insieme scontro, perché la psicofavola
fa emergere verità confinate, sensi di colpa, azioni che vanno
oltre la stessa esistenza fisica di ogni persona. Incontro
nell’armonia, incontro nella paura, il rifiuto di essere messi in
crisi e di riprendere le proprie responsabilità storiche. La prima
volta a Napoli, il secondo giorno, ci siamo rifiutate di fare la
Cenerella perché abbiamo percepito che ci si voleva vedere come
personaggi e non come persone. Il primo giorno invece, c’è stata
una armonia stupenda, ho saputo di donne che hanno rivissuto
dall’infanzia ed altre la loro storia, donne che si identificavano
e riconoscevano totalmente. Il pubblico di Milano ha risposto con
un interesse travolgente, file di persone che volevano entrare,
vedere, ed ha reagito come pubblico maschile in parte con una
paura enorme, perché ha percepito l’energia viscerale e vitale
delle nostre espressioni, tante donne che da sole realizzavano la
loro storia, tante streghe, erinni, furie come nella elucubrazione
di un critico teatrale del “Corriere della Sera”; le donne invece,
come la critica su “ABC” o “Panorama” hanno individuato il
significato profondo della denuncia e la forza dell’espressione.
Il nostro rifiuto al dibattito, dal momento che la nostra
espressione si realizza in forma totale e non solo in forma
intellettuale, ha provocato delle forti tensioni e critiche, ma
tra le donne rimaste c’è stato un silenzio che esprimeva una presa
di coscienza dei contenuti non formali. A Milano gli uomini
potevano entrare solo se accompagnati da una donna che garantiva
per ognuno; questa affermazione storica ha suscitato molte
critiche.
Riportare a Napoli, al “Teatro degli Stracci” la psicofavola è
stato veramente ritornare all’origine e scoprire una attenzione ed
una concentrazione da sentire moltiplicate le nostre energie. Il
pubblico di Napoli viveva e sentiva, aveva paura di respirare. C’è
stata una richiesta di dibattito da parte di alcune donne ma
subito dopo una presa di coscienza: noi e loro eravamo le stesse
donne, abbiamo danzato tutte insieme.
Credo che il chiarimento sulla psicofavola come metodo femminista
faccia cadere di fatto una qualsiasi domanda assurda sul
professionismo. Cioè l’etichetta storica e giuridica di attrice,
tecnica, ecc.., più o meno brava più o meno seria che attribuisce
l’organizzazione patriarcale maschile all’espressione cercando di
controllarla. Il professionismo lo rifiutiamo perché i nomi ed il
potere implicito nei nomi non ci interessa, se incontriamo delle
donne che al di là del professionismo si esprimono possiamo
comunicare, ma nel professionismo ci sarà, come in tutte le
categorie, solo antagonismo, competizione, divisione. Non si lotta
contro l’oppressione maschile ripetendone gli schemi, non
riconosciamo come validi i meccanismi culturale, le valutazioni e
le critiche maschili.”
TEATRO E PERFORMANCES
Il teatro di Lina Mangiacapre (Nemesi) è strettamente legato ad
una ricerca multimediale e pone in rapporto arte e nuove
tecnologie; gli interventi artistici e politici, fatti con il
gruppo delle Nemesiache, hanno privilegiato la forma teatrale.
La motivazione per la scelta del mezzo teatrale, da parte di Lina
Mangiacapre,si è posta in termini totali, ritenendo importante,
come forma di liberazione, la parola e la gestualità e la forma di
autocoscienza è la Psicofavola. Il teatro (psicofavola) non è un
mezzo ma una forma di liberazione psicoemotiva e intende porre,
come storia e realtà della nostra dimensione, il femminile.
Attraverso la psicofavola tutte le repressioni fatte alla
emotività delle donne e al loro corpo esplodono e ritorna
l’armonia non come conseguenza di organizzazione ma come
espressione e comunicazione di ritmi attraverso cui ci si libera.
Le intuizioni della psicofavola sono delle chiavi con cui si
arriva alle ragioni e alle origini delle oppressioni del
femminile, quindi al come liberarsi. Il teatro non è inteso come
rappresentazione o interpretazione culturale di una realtà che si
svolge altrove, ma è concretizzazione ed evocazione: come nei
rituali magici l’evocazione della pioggia non è l’interpretazione
della pioggia, ma la preparazione all’evento; quindi la pioggia
stessa. In questo senso la psicofavola è la nemesi perché nella
denuncia della violenza si libera dalla violenza e propone una
storia altra: la storia al femminile, l’ordinamento cosmico
diverso dell’armonia, dell’equilibrio, della vita. E’ con la sua
prima opera teatrale “Cenerella” nel 1972/’73 che crea il suo
metodo della Psicofavola. “Cenerella” è stata rappresentata a
Napoli, Milano, Amalfi; trascritta poi anche per il cinema con lo
stesso titolo (1974/’75) e presentata alla I° Rassegna di Cinema
Femminista di Sorrento.
“CENERELLA”
Soggetto, sceneggiatura, regia e musica di Lina Mangiacapre
E’ la denuncia dell’oppressione di una donna – Cenerella –isolata
fra tre uomini: il padre e i fratelli che rappresentano la cultura
maschile, ingannata dal mito dell’amore – il principe. La mancanza
di conoscenza della storia di lotta e di morte delle altre donne è
la perdita della propria memoria storica, personificata dalla
Donna – Memoria. La scelta di legare all’uomo il proprio destino è
la perdita dei propri poteri di donna: magia, alchimia,
astrologia, del proprio corpo ed è la perdita di Attannurreta, la
dimensione totale e autonoma del femminile. Attanu e Arreta,
termine della tradizione orale popolare napoletana.
Cenerella, Donna – Memoria, Attannurreta, sono tre realtà divise
che ritrovate e unite conducono alla liberazione.
Questa psicofavola è stata scritta come storia personale nelle
storie di sangue di tutte le donne, come storia di lotta per non
aver dimezzata la realtà; la realtà fuori da tutte le
interpretazioni, i ruoli e le limitazioni di tutti gli scrittori,
i poeti, gli scienziati, ecc.
Mentre scrive la psicofavola “Cenerella”, Lina Mangiacapre scopre
di ritornare alla favola dell’infanzia e ritrova la percezione
lucida dell’imbroglio, il rifiuto di diventare Cenerella, il
rifiuto di odiare la matrigna, il rifiuto di sposare il principe,
il capire che Cenerella era tale perché isolata e oppressa
dall’autorità maschile: padre, fratelli, principe. Eppure
Cenerella “la casalinga” non era esaurita nella categoria
economica in cui la si voleva confinare, Cenerella era la vita,
energia, sogni, lotta; solo che le sue energie erano in relazione
al maschile, il principe era la possibilità storica della
liberazione dal padre. Cenerella sposando il principe diventa in
teoria una privilegiata, di fatto realizza il suo destino di
oppressa e di isolata. La presa di coscienza avviene in lei
attraverso la violenza della maternità; il principe la usa per
farle generare il figlio che servirà come esperimento scientifico
e continuazione del suo potere e della sua stirpe. Attraverso la
disperazione, il rifiuto e il suicidio, Cenerella uccide il figlio
e sé stessa. Il personaggio della donna - memoria è il simbolo
della donna che resta nella storia di sangue e di sofferenza, di
parto e di lacrime, la donna che muore e rinasce, il ricordo
fisico e la condanna storica.
“ Nella psicofavola ero io questa donna, come coscienza della
violenza subita da mia madre, dalle donne della mia infanzia,
dalle altre donne che avevo incontrato, in rapporto alla maternità
e all’uomo. Attanurreta è la strega, la fata, termine che mi era
rimasto dalla tradizione orale della favola che mi raccontava mia
zia, e che vuol dire – indietro nel tempo e ora subito -.
Attanurreta è la dimensione femminile totale che vive solo in
relazione a se stessa, all’armonia, alle altre donne e che viene
emarginata dalla storia della terra e dalle altre donne nel
momento in cui queste si pongono in relazione al maschile.
Attanurreta aiuta Cenerella, è la sua magia, la sua energia, la
mette in guardia contro l’inganno storico dell’identificazione
dell’amore nel principe. Attanurreta aspetterà e lotterà perché di
nuovo possa vivere tra le donne, perché Attanurreta “me stessa”
possa vivere tra le donne, tutte le donne devono diventare
Attanurreta per l’unità tra donne, la denuncia della storia
dell’uomo come storia di morte; la realizzazione dell’unità
attraverso la costruzione e la storicizzazione del diverso. Amore
e vita sarà la nostra storia, la nostra favola inizierà ora,
subito, insieme spezzeremo le catene e creeremo: magia, libertà,
magia, libertà. Ora torna Nemesi, torna l’origine… Attanurreta ero
io, non vista; era l’impossibilità per la donna di vedere l’altra
donna se si poneva in relazione e dentro la cultura patriarcale
maschile, Attanurreta è tutta la dimensione culturale e storica,
il particolare ricco di sfumature dell’ego e della personalità
delle donne stravolte e strangolate dai ruoli e dai limiti in cui
la visione maschile del cosmo ha confinato il femminile.
Attanurreta è la denuncia che il femminile è una dimensione e una
fonte di energia che continua a vivere e intende storicizzarsi “.
“RIPRENDIAMOCI LO SPAZIO”
Nel 1977 la performance di piano e danza a Villa Pignatelli di
Napoli.
“CAFFE’ POESIA”
Nel 1978 la performance di musica e poesia alla Gaiola (Napoli) e
al Caflish di Napoli, vengono lette poesie scritte e disegnate su
abiti, tovaglie e pezzi di stoffa, coinvolgendo altre donne
presenti in questo tipo di espressione.
“LOOK – POESIA”
Performance di poesia al KGB di Napoli nel 1990.
Spettacolo multimediale, la sfida della poesia contro la plastica.
Le poesie devono attraversare la plastica, per ritrovare la loro
forza devono vincerla e trasmutarla in poesia. La discoteca, con
le sue luci e vibrazioni sonore, è identificata come ultimo luogo
tribale della nostra cultura ed è qui che si mostra la sfida tra
poesia e plastica. La conduttrice dà inizio alla sfilata degli
abiti poesia realizzati su plastiche poetiche e alla lettura dei
versi. In una danza corale si conclude la sfilata e fa il suo
ingresso la sibilla Niobe che accanto all’albero scultura inizia
il gioco dell’oracolo poetico insieme al pubblico.
“ FARO”
Scritto nel 1978 e messo in scena ad Avignone (Francia).
Monologo dedicato alla divinità della luce.
“PRIGIONIERE POLITICHE”
Scritto nel 1978 e rappresentato a Napoli e a Mestre (Venezia).
Quando hanno finito di bruciare le streghe hanno aperto i
manicomi.
Quando finirà la guerra dei sessi bruceremo i manicomi.
Ogni nostra espressione è ridotta a follia, a malattia o devianza.
Ogni nostra rivolta è imprigionata, confinata, bruciata sui roghi
di tutte le culture e le ideologie.
Fuori e dentro la nostra lotta, la nostra rivolta non può
continuare ad ignorare le altre prigioniere politiche ridotte ai
limiti della sopravvivenza, espropriate delle loro stesse capacità
di rivolta, confinate nella malattia. Chiudere gli Ospedali
Psichiatrici non ci basta, abbattere tutte le celle di isolamento,
distruggere tutte le case di cura, la psichiatrizzazione e del
territorio di psicoanalisti, i vampiri delle nostre teste, gli
ideologi e teorici delle nostre nevrosi, le avanguardie, gli
esperimenti pilota sulla nostra pelle.
Perché siamo qui in un Ospedale Psichiatrico con la nostra azione
teatrale, con il nostro corpo, con la nostra emotività, con più
silenzio con le violenze che ci vengono fatte, non più addetti ai
lavori.
Nel 1980 scrive “PER OFELIA” concerto-spettacolo rappresentato a
Verona, “Eliogabalo o la caduta dell’androgino”, scritto insieme
ad Adele Cambria, portato in scena a Napoli e patrocinato dallo
stesso Comune ,nel 1982 è inserito nella programmazione
collaterale di Venezia a Napoli e nel 1983 viene rappresentato a
Roma.
“ELIOGABALO O LA CADUTA DELL’ANDROGINO”
Eliogabalo /Elgabal / Gibil, il fuoco che distrugge e divora la
lotta dei principi, l’Androgino Divino. Musica ininterrotta,
perdersi nel fiume, il tempo scompare. Sitar, violini, flauti,
cetrarpa, percussioni, lottano, contro i vittoriosi strumenti
elettronici, le Sirene sono in guerra contro Apollo. La nostra
Musica vuole impedire la fuga, la divisione. Il sacro, il rituale,
la profondità del mistero, sensualità; il Mito rinasce dal
rapporto di oggi con la musica. Eliogabalo non potrà mai essere
soppresso, il desiderio di perdersi come distinto e ricongiungersi
genera l’Androgino e il bisogno di Musica, una Musica infinita a
cui ritornare prima della separazione e della caduta nell’umano.
Nel 1983 scrive la psicotragedia “Biancaneve” che mette in scena
nel 1984 a Napoli.
“BIANCANEVE”
Rilettura della favola in chiave fantascientifica. In seguito ad
una catastrofe nucleare la Strega, unica superstite, ricostruisce
un robot. Biancaneve è ibernata, raggelata,ferma la sua innocenza,
non può avere storia né memoria:” io rinasco sempre neonata gli
occhi sbarrati alla prima alba…”. Amata dalla Strega è
materializzata dal Robot. “…Un universo il mio…io il mio amore, il
mio delitto solo parole…”. La Strega decide, dopo aver ucciso:…”il
fantasma già morto di Biancaneve…” di mutare il suo destino, di
impossessarsi dell’essere del Robot: “….tramuterò le mie passioni,
la mia rabbia, la mia disperazione in parole e ti ciberò di un
veleno che ti farà rimpiangere la tua stupida immobile eternità”.
Lo Specchio Magico diventa lo Schermo Magico su cui scorrono le
immagini degli eterni fantasmi, azionati dalla Strega: Biancaneve
e se stessa, è se stessa.
La rilettura della favola parte dalle radici: si cerca l’origine
dello scontro e della lotta tra la Strega e Biancaneve. La favola
diventa tragedia. La Strega perseguitata dagli uomini che si
vogliono appropriare delle sue conoscenze fuggirà con Biancaneve
imprigionandosi e imprigionandola. Ma Biancaneve, rivolta verso il
futuro, cercherà di sfuggirla di sfuggire a se stessa. Forse
Biancaneve è la Strega.
“OFELIA PAZZA”
Nel 1983 scrive la psicocomicofollia “Ofelia pazza”azione di
musica e poesia. Amleto e Ofelia sono totalmente rarefatti al
punto di identificarsi con i tasti del pianoforte. Neri: Amleto,
Bianchi: Ofelia.
Amleto suona e gestisce l’azione, ma Ofelia è pazza e con la sua
follia ne rompe la trama.
“ELENIADE”
Sempre nel 1983 scrive questa psicotragedia, che riceve il II°
Premio Fondi La Pastora.
Azione ininterrotta.
La scena si compone di veli e simboli astrologici e forme
planetarie di materia trasparente o metallica.
La psicotragedia si svolge in tre tempi paralleli:
- la dimensione del passato che rappresenta l’elemento acqua;
- la dimensione del presente che rappresenta l’elemento
terra-fuoco;
- la dimensione del futuro che rappresenta l’elemento aria.
“VIAGGIO NEL MITO”
Soggetto, sceneggiatura, musica e regia di Lina Mangiacapre
Scritto nel 1992 è un percorso poetico per mare e terra attraverso
Capri, memoria, oltre il tempo, che gli scogli accesi dalla luce
spettrale della luna, riportano. Il tempo è giocato dal mito,
ingoiato da maree che ritornano con la voce eterna della musica
delle Sirene. Proserpina è rubata a Plutone nella grande illusione
di un cerchio mai infranto. “Voglio restituire al mito la vita, la
linfa, perché ritengo che solo nell’attingere alle radici si possa
prendere la forza per lottare e tale recupero delle origini è
possibile ed auspicabile solo attraverso il riscatto del mito e
della bellezza. Si deve vivere per la bellezza e la felicità, per
la libertà: il recupero dell’armonia potrebbe far saltare i
limiti, gli sfruttamenti, le deturpazioni del mondo. Nell’andare
oltre il tempo, verso il passato, si può trovare l’energia per
proiettarsi nel futuro. Il mito, lo insegnava Kereny, è sempre
contemporaneo e muove le radici dei popoli. Non esiste una realtà
senza mito. Capri ne è la culla, per sua natura”.