Che cos'è la politica?

Gruppo 2003/II
Autore Hannah Arendt, a cura di Ursula Ludz
Editore Edizioni di Comunità, Milano
Tipo Saggio
Anno 1997
Data inserimento 02/12/2003

Nel 1955 venne proposto ad Hannah Arendt di scrivere un’Introduzione alla politica. Non doveva essere un trattato di carattere accademico: “Ho in mente una esposizione estremamente semplice. Non si tratterà di una discussione dei concetti-chiave delle scienze politiche e sociali odierne bensì di una introduzione a quello che realmente è la politica e ai presupposti fondamentali dell’esistenza umana con i quali il politico ha a che fare”. Altri impegni ed alcuni importanti eventi (come la Rivolta ungherese del ’56 e il Processo Eichmann) impedirono all’Arendt di portare a termine l’opera. Tuttavia, tra i suoi scritti inediti sono stati ritrovati materiali concernenti il progetto. Ursula Ludz ha raccolto questi documenti e li ha ordinati alla luce dei criteri ispiratori dell’incompiuta Introduzione, corredandoli di un commento che restituisce con chiarezza il concetto intellettuale entro il quale vennero concepiti.

I brani pubblicati in Che cos’è la politica? Forniscono indicazioni fondamentali sulla filosofia politica, sulla visione del mondo, sull’inconfondibile autonomia e originalità di Hannah Arendt. Il pensiero politico di questa autrice non può essere inquadrato entro schemi tradizionali. Essa è insieme idealista e realista: non si fa illusioni sullo stato del mondo, eppure è irriducibilmente convinta dell’importanza della riflessione teorica. Ed è proprio questa riflessione che l’ha portata a rievocare la politica come occasione e spazio di libertà, ad approfondire lo studio dell’”utopia della polis”. In un’epoca di miseria politica la Arendt ha ricercato le origini di una politica intesa come vita appagata e libera insieme agli altri dei quali si riconosce la diversità: “ La politica si fonde sul dato di fatto della pluralità degli uomini”. Ad onta di tutte le esperienze negative, la Arendt non ha mai perduto la fiducia nella possibilità che l’uomo agente inizi qualcosa di nuovo e faccia in modo che le cose cambino: “Finché gli uomini possano agire, sono in grado di realizzare l’improbabile e l’imprevedibile”. Ma agire liberamente significa agire in pubblico e il pubblico è l’effettivo spazio del politico. E’ lì che l’uomo deve mostrarsi nella sua spontaneità e affermarsi nella relazione politica con gli altri. L’adattamento opportunistico, la fuga nel privato, il ritirarsi dalla responsabilità politica, il comodo (e improduttivo) tedio verso la politica: a tutti questi comportamenti così diffusi oggi la Arendt contrappone il suo concetto alto, eppure non utopico della politica: “Il senso della politica è la libertà”.

 

Manifestazione per il lavoro, Parigi 1979

Manifestazione per il lavoro, Parigi 1979
Foto da: Annie Goldmann, Le donne entrano in scena. Dalle suffragette alle femministe, Firenze, Giunti, 1996

 

Hannah Arendt nacque ad Hannover nel 1906, studiò a Friburgo, Heidelberg e Marburgo con insegnanti quali Jaspers, Heidegger e Bultmann. Con l’avvento di Hitler al potere fuggì dapprima in Francia e, nel 1941, negli Stati Uniti dove tenne corsi all’università di Chicago, a Berkeley, Princeton e, dal 1967 al 1975 (anno della morte) alla New School for Social Research di New York. E’ stata una figura centrale nell’ambito del dibattito politico-filosofico del Novecento. Tra le sue opere più importanti ricordiamo Le origini del totalitarismo, Sulla violenza, La banalità del male, Sulla rivoluzione.
(seconda e terza di copertina) 

 

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