Oltre New York. Reportage e fotografie 1936-1938
Nella primavera del 1936 Annemarie Schwarzenbach ha ventotto anni e la vita già segnata dalla trasgressione e dall'inquietudine che faranno di lei un personaggio di culto: i primi viaggi in Persia, la relazione tormentata con Erika Mann, l'iniziazione alle droghe, la rottura con la famiglia, un matrimonio fallito, un tentato suicidio. Lasciandosi alle spalle tutto questo, ma anche quell'Europa su cui si allunga ormai l'ombra di Hitler, Annemarie parte alla scoperta degli Stati Uniti, aderendo con entusiasmo al progetto della Farm Security Administration: raccogliere testimonianze fotografiche dell'"altraAmerica", quella del degrado e della miseria, che porta ancora le cicatrici della crisi economica. Poi c'è anche la sfida personale: cercare le tracce della filosofia dell'opportunity, i segni di quel riformismo rooseveltiano in cui lei crede tenacemente. Alle immagini affiancherà articoli destinati a testate svizzere, in un lavoro di documentazione foto giornalistica tutto da inventare. Dopo l'esplorazione di New York e Washington, il confronto con la realtà dei quartieri poveri di Pittsburgh -neri e bianchi- ha un effetto dirompente nel modellare la scrittura, lo stile evocativo dei primi saggi cede il passo a una lingua oggettiva, essenziale. E i suoi scatti acquisiscono il rigore estetico e la sobrietà di cui Walker Evans era l'interprete più geniale.
Un anno dopo Annemarie vuole conoscere gli stati americani del Sud e, insieme all'amica Barbara Hamilton-Wright, attraversa Virginia, South e North Carolina, Georgia, Alabama e Tennessee, alla guida di una vecchia Ford e con una macchina fotografica Rolleiflex al collo. Le due donne visitano piantagioni, fabbriche, prigioni, scuole e villaggi operai, con l'intento di dare la parola a chi è privo di diritti e, spesso, di voce. Il viaggio diventa ricerca, impegno e interesse per la realtà quotidiana, per il lavoro e le lotte sindacali; il passaggio delle frontiere si traduce in apertura verso nuovi modi di pensare, vedere e vivere. Ed è per questo che fotografie e testi qui raccolti hanno una loro immortale bellezza nella capacità di descrivere l'indescrivibile, di cogliere dietro i paesaggi la disperazione di chi li abita.
Annemarie Schwarzenbach, scrittrice, giornalista, fotografa, è nata a Zurigo nel 1908 ed è morta a soli trentaquattro anni in un incidente.
Ha scritto articoli, saggi, reportage, romanzi e racconti. In Italia sono usciti Sybille (Casagrande), La valle felice (Tufani), Morte in Persia (e/o). Il Saggiatore ha pubblicato Dalla parte dell'ombra (2001) e La via per Kabul (2002).
(dalla terza e quarta di copertina)
foto da: Annemarie Schwarzenbach, Oltre New York. Reportage e fotografie 1936-1938, Milano, Il Saggiatore, 2004, fig. 10
Otto anni fa, quando arrivai per la prima volta in America e tentai, con impegno e curiosità, di scoprire quale fosse la visione del mondo degli americani, le cose mi furono rese relativamente facili. Mi dissero - così iniziò tutto - che l'americano è fondamentalmente ottimista e che questa qualità è in lui spontanea e naturale. Ma fu tutto ciò che venni a sapere: perché l'ottimismo non era soltanto un tratto tipico del carattere nazionale, era una filosofia pratica e perfettamente adeguata agli interessi economici; ed evidentemente, in America, non esistevano altri interessi se non quelli economici. Del carattere ottimista degli americani non solo si poteva dire che fosse connaturato, ma anche moralmente e profondamente motivato. Motivato, perché ogni cittadino nato o immigrato e naturalizzato negli Stati Uniti portava nello zaino il bastone da maresciallo o poteva diventare presidente o, meglio ancora, milionario. Era questa, allora, la democrazia, e tutti ci credevano, in parte perché era ancora possibile dimostrare che un semplice strillone poteva diventare un magnate del petrolio e in parte perché gli americani crescono con questa convinzione. Si trattava di un convincimento nato da una tradizione, da un'esperienza storica, perché la storia dell'America è la storia di uno sfruttamento privato, senza precedenti perfino dalla prospettiva della nostra esperienza coloniale, delle risorse esistenti nel sottosuolo e nei boschi, che sembravano inesauribili, delle miniere d'oro e di carbone, delle industrie in rapida espansione e quindi della forza lavoro. Fino a tempi recenti, l'America non aveva alcuna coscienza sociale, alcun senso della responsabilità né verso una comunità né verso i beni del paese. Chiunque poteva avere la sua chance, il suo bastone da maresciallo, la sua opportunity: il fittavolo, i cui campi non rendevano più nulla a causa dell'eccessivo sfruttamento, emigrava verso ovest, verso la "frontiera", dove trovava terra nuova e migliore da arare e coltivare; il commerciante di legnami, una volta finito di tagliare un bosco ne acquistava un altro; chi era immigrato di recente si accontentava dei lavori peggiori e peggio pagati, ma sapeva che nulla poteva impedirgli di risalire la scala sociale: bastava darsi da fare, avere pochi scrupoli e naturalmente essere ottimisti. Per questo, "opportunity" e "ottimismo" sono diventate le parole chiave per indicare un'intera concezione del mondo. A esse si affiancò una nozione del tutto particolare e americana di libertà: quella di libertà d'azione che da un momento all'altro poteva degenerare nella legge del più forte.
L'America nella quale sono tornata ora è un paese diverso, profondamente cambiato.
(da: Prologo, pp. 11-12)
Cincinnati, Ohio, febbraio 1938
foto da: Annemarie Schwarzenbach, Oltre New York. Reportage e fotografie 1936-1938, Milano, Il Saggiatore, 2004, fig. 10
Si segnalano gli articoli:
M. Grillo, Una viaggiatrice Annemarie Schwarzenbach, «Mezzocielo», n. 9/10, 1998, p. 8
A. Ruchat, L'Oriente di un angelo triste, «Il Manifesto», n. 43, 21 febbraio 2002, p. 12
Westfront Street a Knoxville, Tennessee, novembre 1937
foto da: Annemarie Schwarzenbach, Oltre New York. Reportage e fotografie 1936-1938, Milano, Il Saggiatore, 2004, fig. 27
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