Siberia per due. Madre e figlia lungo lo Enisej
Se non fate i bravi vi portano nel Sybir. In era sovietica, per spaventare i bambini si diceva così. E non c'era bisogno di spiegare cosa fosse il Sybir, in lingua tartara la "terra addormentata", più realisticamente, nella cronaca di ogni giorno, il paese del nulla. Un'immagine vera, spaventosa. Ma non l'unica. Sotto la coltre di ghiaccio che per nove mesi l'anno ricopre una delle più grandi distese del mondo -quanto l'Europa, gli Stati Uniti e l'Alaska messi insieme - batte un cuore forte, caldo come l'estate impetuosa che scioglie il freddo e riporta la vita. Una terra che madre e figlia, a trentasette e sei anni, in compagnia di nove passeggeri e una guida speciale, attraversano navigando lungo lo Enisej, da Krasnojarsk a Dudinka, passando per Enisejsk, Vorogovo, Komsa, Turukhansk, Igarka e Ust Port. Un viaggio dentro e fuori la storia, quella immensa della Russia e quella minima personale, unite dalla corrente di un fiume che, come un meridiano dell'anima, ha raccolto i protagonisti, le speranze e i drammi del popolo russo.
Laura Leonelli, giornalista, ha quarant'anni. Scrive di viaggi per «Grazia» e «Panorama Travel». Vive a Bergamo con sua figlia Giulia.
(dalla quarta di copertina)
Tundra. Ai margini dell'accampamento, su un'altalena, una bambina Nenet e Giulia si divertono insieme
foto da: Laura Leonelli, Siberia per due. Madre e figlia lungo lo Enisej, Milano, Feltrinelli, 2004, (dopo p. 96)
Oggi è una giornata particolare a Krasnojarsk. Tra qualche minuto parte la nave diretta a Dudinka, l'ultima città prima del Mar di Kara e il Mare Artico. Ci vogliono quattro giorni di viaggio, diciotto fermate, molte partite a scacchi e una quantità infinita di tazze di tè bollente per arrivare a destinazione. E lì si resta perché i viaggiatori che adesso vedo imbarcarsi sul postale dello Enisej, inuna mattina grigia di luglio, torneranno qui solo fra un anno a riabbracciare i loro cari. In Siberia, lungo questo fiume che guida gli uccelli nelle loro migrazioni da un emisfero all'altro, le stagioni segnano i tempi degli affetti, la natura può tutto, gli uomini si adattano. Ancora qualche giro di vento e su queste rive accoglienti, anche là dove la foresta diventa più scura, arriverà l'inverno, le acque si confonderanno con la terra bianca e non ci saranno più incontri ma solo un lungo sonno. Poi a primavera il ghiaccio comincerà a sciogliersi, i blocchi gireranno come piccole galassie nella corrente, il rumore che faranno urtandosi sarà spaventoso: allora il fiume riprenderà il suo corso e insieme a lui torneranno a scaldarsi le mani che adesso stringono valigie, cappotti e altre mani. Mani che immagino forti, con le nocche chiare, senza sangue, tanto è sofferta la loro presa. E anch'io, quasi per capire le ragioni della mia partenza, mi guardo le mani che sfiorano la balaustra di una nave, l'Anton Cechov, ancorata non lontano dal postale. E le sento tiepide, appena umide, e così le porto alle labbra, ci soffio sopra e un attimo dopo accarezzo i capelli di mia figlia, in piedi vicino a me. Un gesto di augurio come se in quell'alito caldo che sa di cibo e di sonno e subito svanisce nell'aria dovessero mescolarsi tutti gli umori e le attese di questo viaggio ancora misterioso Un viaggio in una terra sconosciuta
(da: pp. 11-12).
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