Chini Bagh. Una Lady inglese nel Turkestan cinese

Gruppo 2010
Autore Catherine Macartney
Editore Giano, Varese
Tipo Saggio
Anno 2004
Data inserimento 25/11/2010

Il Turkestan cinese, ovvero il Xinjiang, è la regione più occidentale della Cina, un'immensa distesa desertica circondata da altissime catene montuose. Incastonata fra India, Russia e Cina. Alla fine del diciannovesimo secolo divenne uno dei punti focali del Great Game, la guerra diplomatica mossa allo zar dall'impero britannico per la supremazia politica ed economica in Asia. Nel 1898 l'agente britannico George Macartney e la moglie Catherine, novelli sposi, giunsero nella capitale Kashgar e si stabilirono nella residenza dì Chini Bagh, su cui sventolava l'unica Union Jack tra il Kashmir e il Polo Nord. A Chini Bagh avrebbero trascorso diciassette anni.
In questo appassionante e insolito libro di memorie Lady Macartney racconta la sua vita a Kashgar guardando al Great Game imperialista con gli occhi di una impeccabile padrona di casa [...] Lady Macartney fece di  Chini Bagh un punto d'incontro per viaggiatori famosi come Sir Aurele Stein e Albert Von Le Coq, archeologi e ricercatori, ovvero tutti coloro che allora si spingevano sulla Via della Seta in cerca di tesori nascosti.
Al racconto delle peripezie della vita quotidiana si alternano capitoli dedicati alla descrizione dei magnifici scenari naturali dell'Asia centrale e degli usi e costumi delle molteplici etnie presenti in Turkestan: ma soprattutto al resoconto dei due avventurosi viaggi compiuti tra Londra e  Kashgar e ritorno attraverso le sterminate terre russe, una tempesta di sabbia, guadi di fiumi in piena e passi montani ad altissima quota, a bordo di cavalli e cammelli, yak e tarantas, carri e treni a vapore.

Catherine Macartney  (1877-1949), nata a Borland, di origini scozzesi, crebbe a Liverpool e Londra. Nel 1898 sposo George  Macartney e lo seguì a  Kashgar, dove avrebbe vissuto al suo fianco fino al 1914. Nel 1931 pubblicò il suo unico libro  Chini Bagh (An English Lady in Chinese Turkestan).

(dalla terza e quarta di copertina)


Gio Batta Valle (La Spezia 1843-1905), La lezione di geografia, 1880 circa

Gio Batta Valle (La Spezia 1843-1905), La lezione di geografia, 1880 circa
foto da: Luisa Rossi, L'altra mappa. Esploratrici viaggiatrici geografe, Reggio Emilia, Diabasis, 2005, fig. 22 (dopo p. 128)


Sembrava allora impossibile riuscire a sistemare tutto, le mie cose in particolare, in una sola settimana, ma ce la facemmo ugualmente, ci sposammo il 17 settembre e lasciammo l'Inghilterra il 6 ottobre 1898 per dare inizio alla nostra grande avventura.
Per me era davvero un'avventura, essendo io la più timida e meno intraprendente ragazza che ci fosse al mondo. Avevo a mala pena oltrepassato i confini protetti della mia casa e non mi ero mai allontanata dalla mia grande famiglia, di tanti fratelli e sorelle, non avevo mai avuto alcun desiderio di vedere il mondo; e inoltre non avevo alcuna delle doti necessarie ad affrontare una vita da pioniere, se si eccettua la mia unica capacità: fare dolci.
La nostra luna di miele si svolse traversando l'Europa, la Russia, il Mar Caspio e lungo la ferrovia Trans-Caspiana fino alla stazione di Andijan, quindi da Andijan a Osh su un tarantas russo oppure su un carro postale, e da Osh a Kashgar, attraverso i monti Tien Shan a dorso di un cavallo. Una luna di miele fuori del comune! Per me che non avevo mai viaggiato prima, era tutto molto strano, quasi irreale e qualche volta mi sembrava di sognare tanto la mia vita così tranquilla e senza emozioni era cambiata.

(p.10)

Ci sarebbe piaciuto salutare tutti gli amici che lasciavamo al Chini Bagh ma ci fu impossibile. Questa volta però ero molto contenta di poter affidare la casa a una signora mentre ero via, e credo che anche la servitù fosse dello stesso parere.
Quando uscii nel cortile  mi voltai a guardare la nostra casa, mi chiesi se non la stessi lasciando per sempre, e anche se stavo tornando in Inghilterra il mio cuore era molto angosciato al pensiero. Le strade di montagna erano in pessime condizioni per il disgelo e in molti tratti erano spaccate dall'acqua ghiacciata, il che rendeva il viaggio difficile e pericoloso. Il pericolo maggiore che ci preoccupava era quello dei massi e dei sassi che franavano lungo i pendii.
Il percorso fino al passo Terek si svolgeva lungo una vallata stretta fra due ripidi costoni; dovevamo procedere lungo il letto del fiume in mezzo ai massi, e per fortuna non facemmo caso al fatto che quei massi erano caduti da poco. [...]  i grandi  massi e i pezzi di roccia si staccavano dal ghiaccio che si stava sciogliendo e rimbalzavano da una roccia all'altra a una velocità terrificante. Questa volta un sasso ci era passato proprio davanti. Il cavallo in questione era uno di quelli che portavano la posta a Sarikol e aveva imparato per sua esperienza a riconoscere il tipo di rumore che giungeva dall'alto; dunque ci aveva salvato dalla frana. Durante tutto il viaggio ci dette più volte dei segnali permettendoci così di sfuggire ai massi che rotolavano giù. [...] Grazie a Dio traversammo sani e salvi le montagne, riprendendo il viaggio da Andijan ancora una volta in treno. Il caldo del Turkestan russo era molto logorante, specialmente dopo il freddo che avevamo sofferto in montagna.
Della guerra non ci accorgemmo quasi, vedemmo solo in tutto il Turkestan russo tanti tedeschi fatti prigionieri con un aspetto non troppo sofferente, e non ci parve che venissero maltrattati, finché arrivammo a Orenburg, dove i cosacchi salirono sul treno, abbassarono le tende e sorvegliarono tutti gli ingressi delle carrozze fino a quando attraversammo il Volga a Samara.
A Mosca e Pietrogrado (come dall'agosto del 1914 venne chiamata San Pietroburgo}, passammo delle belle giornate con alcuni nostri vecchi amici di Kashga [...] Il treno era pieno di inglesi di ritorno a casa provenienti dalla Cina, dalla Persia e da varie parti dell'Oriente.
Gli scenari che attraversavamo erano davvero meravigliosi. La Finlandia ci appariva con i suoi boschi, laghi e montagne, un'illustrazione perfetta del significato del suo nome: Terra dei Mille Laghi.
Raggiungemmo Torne, il capolinea della ferrovia finnica in cima al golfo di Botnia, di primo mattino. Faceva freddissimo e il fiume era una massa di ghiaccio galleggiante. Un traghetto ci stava aspettando per caricare i passeggeri con i loro bagagli. Ci ammassammo tutti sul ponte sotto un gelido vento mentre il traghetto, che era anche un rompighiaccio, procedeva lentamente attraverso il ghiaccio verso l'altra riva del fiume dove ci era stato detto che avremmo dovuto attraversare un altro fiume - o come io penso, l'altro ramo dello stesso fiume - a piedi su un ponte. Il vento, quando ci trovammo sul ponte, era così forte che con fatica riuscimmo a resistergli; per Sylvia e Robin era impossibile: Un gentile contadino svedese, con una carriola vedendo le nostre difficoltà, li raccolse mettendoli nella carriola e lì portò avanti con sé. [...] A dispetto del freddo compimmo un meraviglioso viaggio. Non eravamo molto distanti dal Circolo polare artico e lo scenario con quei colori tutti speciali prodotti dal sole, che in quell'epoca dell'anno, maggio, a malapena scende sotto l'orizzonte a mezzanotte, era assolutamente differente da ogni altro mai visto.
Il percorso, per buona parte del viaggio, si svolgeva attraverso foreste di pini o ai piedi di colline coperte di boschi. Evidentemente in questa parte settentrionale del paese le automobili erano rare, perché quando ne passava una i carri con i cavalli sobbalzavano.
Da Haparanda percorremmo la Svezia in tutta la su lunghezza fino a Orebro, dove fummo smistati verso Christiania (Oslo ). Da qui facemmo un viaggio piuttosto piacevole fino a Bergen.
Giungemmo così all'ultima e più temuta tratta dell'intero viaggio, l'attraversamento del Mare del Nord da Bergen a Newcastle. Cominciò a essere molto preoccupante appena lasciammo il riparo della terra ferma, dal momento che la nave sulla quale eravamo imbarcati, non avendo carico, beccheggiava e veniva sballottata terribilmente. La maggior parte della gente stava troppo male per curarsi di alcunché, la mia famiglia compresa.
Impiegai la maggior parte del tempo osservando l'uomo che stava sdraiato a prua per avvistare le mine. Il mare era deserto e lungo l'intero tragitto non vedemmo navi di alcun tipo. Una notte in cui avevo appena dato di stomaco, un affabile giovanotto inglese bussò alla mia porta con la davvero superflua notizia che c'era mancato di poco che finissimo su una mina.
Il mare fu sempre agitato fino a che non ci avvicinammo alla costa della Scozia, quando le onde si calmarono e i passeggeri cominciarono a farsi vedere. Ci sentivamo al sicuro per la vicinanza con le nostre coste e così tutti diventarono cordiali e allegri, cominciando a cantare le loro canzoni. Ci fu un certo choc quanto sentimmo dire, al nostro arrivo a Newcastle, che eravamo passati nel punto nel quale un'ora o due prima un grande bastimento era stato affondato, al largo della costa di Aberdeen. La stessa nave sulla quale eravamo arrivati venne poi silurata nel suo viaggio di ritorno.
Dopo diverse formalità sbarcammo a Newcastle. Quando vidi i due poliziotti inglesi che stavano sulla passerella, pensai che i casi erano due: o scoppiavo in un gran pianto, oppure li abbracciavo. Poiché la seconda possibilità era fuori questione, feci ricorso alla prima, con la massima discrezione possibile. Il giorno dopo eravamo a casa sani e salvi con mia madre. Lei era stata per molto tempo in ansia, anche se, di proposito, non le avevo comunicato il tempo esatto che avremmo impiegato in questo viaggio, sperando che avrebbe avuto il nostro telegramma da Newcastle, con la notizia del nostro arrivo, prima che se lo aspettasse.
La mia intenzione era quella di ritornare a Kashgar con mio marito dopo sei mesi, lasciando che i figli andassero a scuola, ma a quel tempo a nessuna donna veniva permesso di viaggiare, e George fu costretto a tornarsene da solo, facendo la stessa strada, per portare a termine gli ultimi tre anni di servizio. E così diedi un addio definitivo alla mia casa in Asia Centrale, dopo una permanenza di diciassette anni.

(pp. 223-35)


Giovanni Battista Caloiro et Oliva, Carta nautica, Ms. 1673

Biblioteca Nazionale di Napoli, Ms. XII.D.71 (1
Giovanni Battista Caloiro et Oliva, Carta nautica
(Ms. membr., 1673, mm 438x715)

foto da: www.bnnonline.it


Collegamenti

http://it.wikipedia.org/

http://viaggi.corriere.it/

http://www.italiacina.org/cultura/italica/2004.htm

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