La via del deserto

Gruppo 2010
Autore Isabelle Eberhardt
Editore Ibis, Como
Tipo Racconti
Anno 2002
Data inserimento 29/11/2010

Isabelle Eberhardt, Yasmina e altre novelle algerine. La via del deserto I, a cura di Olimpia Antonietti, Como, Ibis, 2002

Poco più che ventenne, Isabelle Eberhardt era già in Nordafrica, seguendo le tracce di un destino che la porterà a compiere una sorta di itinerario dell'anima attraverso le piste e i villaggi dell'Algeria e della Tunisia.
Il Maghreb e il deserto avranno su di lei un'attrazione potente: gli uomini che incontra in questi soggiorni e i luoghi che attraversa negli spostamenti diventano con naturalezza e semplicità i soggetti dei suoi racconti. Emerge così l'immagine di un mondo che affascina e seduce, un mondo, quello arabo, che raramente abbiamo trovato descritto con tanta partecipazione e coinvolgimento.
Nata a Ginevra nel 1877 e morta a Aïn Sefra, in Algeria, nel 1904, Isabelle Eberhardt, ha lasciato un'importante serie di racconti e di resoconti di viaggio, tutti di grande valore letterario.
Per le nostre edizioni è già comparsa la raccolta Nel Paese delle Sabbie.

(dalla quarta di copertina)


Particolare della Carte générale des environs de Nice...firmata Pierre Corné e Mauger, 4 messiodoro 1800

Particolare della Carte générale des environs de Nice ... firmata Pierre Corné e Mauger, 4 messiodoro 1800
da: Luisa Rossi, L'altra mappa. Esploratrici viaggiatrici geografe, Reggio Emilia, Diabasis, 2005, fig. 13 (dopo p. 128)


L'itinerario di Isabelle Eberhardt, che la porta alternativamente dall'Europa all'Africa, all'Europa, per ricondurla definitivamente nella terra d'Africa da lei tanto amata, non è solo un percorso di tipo geografico o culturale, tra due mondi lontani e due civiltà diverse, ma è anche e soprattutto un percorso interiore, che la allontana dalle "banalità dell'Europa convulsa e morbosa", sottraendola "alla tremenda solitudine dell'incredulità", "all'abisso oscuro del dubbio" per riconciliarla con se stessa, grazie alla fede islamica e a "una serena rassegnazione ai decreti ineluttabili del Destino".
Questa inquietudine spirituale, questa ricerca del proprio Io più autentico al di là delle regole e delle convenzioni imposte dalla società, affondano le proprie radici nella storia familiare e personale di colei che fu definita "la bonne nomade", la nomade dall'animo gentile.
Isabelle Eberhardt nasce il 17 febbraio 1877 a Ginevra, da Nathalie Eberhardt, moglie di un generale russo, stabilitasi in Svizzera per motivi di salute e rimasta vedova durante il suo soggiorno in terra elvetica, e da padre ignoto, che per la maggior parte dei critici è identificabile con il precettore dei figli di Nathalie Eberhardt, l'ex pope russo Aleksandr Trofimovskij, a sua volta sposato e padre di alcuni figli.
Dopo lo scandalo suscitato da tale nascita illegittima, che farà della Eberhardt una persona sempre alla ricerca di una propria identità definitiva, il gruppo familiare si stabilisce a Ginevra, costantemente sorvegliato dalla polizia locale: pare che Trofimovskij avesse simpatie anarchiche e comunque la comunità russa, che comprendeva molti perseguitati politici, era guardata con sospetto dalle autorità elvetiche.
Isabelle, come i fratelli educata dal precettore, che lei considerava un padre, mostra ben presto vivacità intellettuale e interesse per il mondo arabo: comincia a studiare tale lingua e ad intrattenere una corrispondenza con un letterato egiziano e con un giovane tunisino.
A vent'anni, nel 1897,  il primo viaggio in Africa, in Algeria, al seguito della madre e alla ricerca del fratello preferito, che si era arruolato nella legione straniera.
Questo primo incontro con la terra d'Africa è evocato a più riprese nelle opere della Eberhardt, con accenti di forte emozione e di grande nostalgia: viene presentato come la scoperta di un mondo pieno di luce, di calore, di vitalità, come una rivelazione definitiva di una realtà trascendente, che parla al cuore e risponde ai suoi più segreti desideri. È durante questo soggiorno in Algeria che Nathalie Eberhardt muore e sarà sepolta proprio in questo paese. II grande dolore per la morte della madre sarà accompagnato, due anni dopo, da quello per la morte del tutore Trofimovskij. La Eberhardt, che nel frattempo era ritornata in Europa, abbandona allora l'occidente. La sua scelta è fatta.
Dapprima a Tunisi, poi nel Suf algerino, poi di volta in volta ancora a Tunisi, ancora nel Sahara algerino, ad Annaba, ad Algeri, a Ténès, nella regione di Algeri, nella regione di Orano, la vita di Isabelle Eberhardt sarà caratterizzata da spostamenti continui (trascorrerà anche alcuni periodi con le tribù nomadi del deserto), intervallati da soggiorni più o meno lunghi presso qualche zaouïya, sede di confraternita religiosa musulmana. Infatti la Eberhardt, nella sua ricerca di una serenità, di una pace che non riesce a trovare, o che per lo meno non riesce a mantenere, si è convertita all'islam e si è avvicinata alla confraternita dei Qadriya, di ispirazione sufi.
La sua scelta religiosa, ma anche la sua condotta sregolata (fa uso di alcool e di kif, la miscela di tabacco e di haschich tipicamente araba), il suo modo di agire anticonformista (si muove in piena libertà soprattutto grazie al fatto di vestire i panni di un cavaliere arabo e di presentarsi come tale, come Mahmoud Saadi, letterato tunisino), la sua relazione con un musulmano di nazionalità francese, Slimène Ehnni, sottufficiale degli spahi, il suo malcelato disprezzo per la società coloniale francese, a cui preferisce la compagnia della gente del paese che la ospita, sono tutti elementi che suscitano il sospetto e l'ostilità delle autorità francesi. Vere campagne di calunnie sono orchestrate contro di lei e, non appena se ne presenta l'occasione, Isabelle, di nazionalità russa, viene espulsa dall'Algeria. Il pretesto è un'oscura storia di tentativo di assassinio, di cui lei è vittima, ad opera di un adepto di una confraternita rivale. La Eberhardt lascia l'Africa, dove ritornerà definitivamente grazie al matrimonio con Slimène Ehnni, che le permetterà di ottenere la cittadinanza francese (1901).
l processo contro il suo attentatore, Isabelle aveva conosciuto Victor Barrucand, giornalista e scrittore. Quest'ultimo le offre di collaborare all'Akhbar, una rivista filo araba da lui diretta. Grazie a questa attività fissa, che era stata preceduta dalla pubblicazione di altri articoli su vari giornali e riviste, la situazione economica della Eberhardt diventa meno precaria e, soprattutto, le viene offerta un'ulteriore giustificazione per viaggiare, alla ricerca di spunti giornalistici sulla realtà locale.
Nel 1903 è inviata come reporter di guerra nella zona a sud di Orano, dove ritornerà l'anno successivo, sempre con lo stesso incarico, pochi mesi prima di morire. La sua morte, nell'ottobre del 1904, all'età di 27 anni, ha in sé qualcosa di paradossale e ha contribuito non poco a creare il mito di questa scrittrice-viaggiatrice (o forse sarebbe meglio dire viaggiatrice-scrittrice, perché il viaggio, per lei, è stato una scelta di vita, da cui la scrittura ha tratto la sua giustificazione), di questa donna inquieta che solo nella morte ha potuto trovare la sua pace: appena dimessa dall'ospedale di Aïn Sefra, dove era stata ricoverata per un aggravarsi delle sue ricorrenti febbri malariche, viene travolta nella sua casa dalla piena del torrente Sefra, ingrossato dalle piogge, una morte a cui lei non avrebbe fatto nulla per sottrarsi.
Come scrive Lesley Blanch "Everything about her was extraordinary. (...) Her death was strangest of all, for she was drowned in the desert".
Parte dei manoscritti della Eberhardt furono ritrovati, stranamente intatti, sotto la melma che aveva sepolto l'autrice, e vennero pubblicati, insieme ad altri già apparsi sui giornali, ad opera di Victor Barrucand. Ma quest'ultimo intervenne su molti testi, modificandone alcune parti, eliminandone altre, da lui giudicate immorali e tali da compromettere la reputazione della scrittrice, inserendone di nuove, a lui dovute, insomma snaturando l'opera originaria (la prima raccolta di scritti, pubblicata nel 1906, viene attribuita congiuntamente a Isabelle Eberhardt e a Victor Barrucand).
In epoca recente, si è avuta finalmente un'edizione completa di tutte le opere di Isabelle Eberhardt (appunti di viaggio, novelle, romanzi)  ed è quella di riferimento.
Le novelle qui raccolte sono state scritte tra il 1898 e il 1904.
L'elemento autobiografico le percorre tutte, reso esplicito dalla narrazione in prima persona di episodi o di stati d'animo che hanno coinvolto l'autrice ("Lo specchio", "Silhouettes africane", "La zaouii1", "La mano", "Nella duna"), o legato alla trasposizione romanzesca di situazioni facilmente riconoscibili ("L'anarchico", con il padre russo "perseguitato per le sue convinzioni libertarie" e il figlio il cui "animo predestinato di uomo del nord si era impregnato e inebriato di tutto l'indefinibile e seducente mistero degli orizzonti infuocati" della terra d' Africa, [...] componendo racconti su quel paese incantato dove metteva un po' della sua anima e della sua vita"; "Yasmina", con il luogotenente francese che inizialmente, in quell'"Africa in cui aveva scelto di venire", "subiva l'effetto del grande incanto, dell'intensa ebbrezza dell'arrivo e vi si abbandonava voluttuosamente"; "II romanzo del fuciliere", con gli spostamenti del protagonista da Tunisi ad Annaba, da qui nel sud, per far poi ritorno ad Annaba), o identificabile in tematiche ricorrenti nell'opera della Eberhardt (la morte della madre) che, proprio perché ricorrenti, vanno al di là della casualità o della semplice consapevolezza di un destino comune, ma diventano il riflesso di una dolorosa esperienza personale ("Oum-Zahar").
Quello che però stupisce è il fatto che, proprio là dove Isabelle Eberhardt si espone in modo dichiaratamente autobiografico, talvolta tende a sfuggire alla propria immagine, a nascondersi dietro un'identità maschile, così come si vestiva con abiti maschili, parlando di sé come di uno "studente", di "un vagabondo", di "un dilettante", di "un esteta", come se fosse un uomo.
Questa ambiguità, questo sdoppiamento, che caratterizzano la vita e l'opera della Eberhardt, rimandano a una faticosa ricerca del proprio Io, a un conflitto interiore, la cui risoluzione venne cercata (e faticosamente trovata) nella fede islamica, in un'accettazione del mektoub, il destino e in un annullamento estatico dell'essere.

(da: Presentazione di Olimpia Antonietti, pp. 9-14)


Isabelle Eberhardt, Il Paradiso delle acque. La via del deserto II, a cura di Olimpia Antoninetti, Como, Ibis, 2003

Isabelle Eberhardt, Il Paradiso delle acque. La via del deserto II, copertina

Il percorso di Isabelle Eberhardt (1877-1904) attraverso le terre del Maghreb ci ha dato racconti e novelle di incantevole bellezza: il suo sguardo si posa su uomini e luoghi e ci propone una visione permeata di affetto e di partecipazione.
Pochi altri autori hanno saputo raccontare il mondo arabo con tanta emozione: anche la sofferenza e il dolore vengono trasfigurati e nella narrazione assumono un valore di ineluttabile catarsi.
Molto amata in Francia, solo da pochi anni è conosciuta anche in Italia e Ibis ha già pubblicato due raccolte: Nel Paese delle Sabbie e Yasmina e altre novelle algerine.

(dalla quarta di copertina)


Carla Serena. Ritratto datato 20 luglio1884

Carla Serena. Ritratto datato 20 luglio 1884
foto da: Luisa Rossi, L'altra mappa. Esploratrici viaggiatrici geografe, Reggio Emilia, Diabasis, 2005, fig. 10 (dopo p. 61)


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