All'ombra delle farfalle
«Se guardo le piante come fossero sorelle, lo devo a mio padre.» Con il riconoscimento di questo debito di gratitudine si apre il libro di Francesca Marzotto Caotorta sui giardini. Nei suoi ricordi affiorano le esortazioni paterne: guarda meglio, guarda con gli occhi e insieme con tutti i sensi, la incitava lui davanti a un paesaggio, a un muro solo apparentemente grigio, su cui la luce gettava sfumature dei più vari colori.
Ma nei ricordi, insieme alle esortazioni affiorano, perentori, anche i suoi aut aut: «Le dalie viola, mai!». Perentori ma presto dimenticati, perché ognuno vuole il «proprio» giardino, e quel fazzoletto di verde più o meno esteso è il luogo dove possiamo godere dell'opportunità quasi unica di creare, di plasmare un pezzetto di mondo come desideriamo, a nostra misura, che faccia da sfondo ai nostri sogni, da specchio ai nostri sentimenti.
Forte di questa convinzione, l'autrice, una delle più note e autorevoli esperte italiane di giardini, prova ad aiutarci a riconoscere e realizzare il giardino che ognuno di noi porta dentro di sé: quello della nostra infanzia, quello descritto nei libri che abbiamo amato, quello che ci è rimasto impresso durante i nostri viaggi.
E lo fa ricordandoci subito che ogni terreno ha la sua «vocazione», e che il buon giardiniere, prima di realizzare il «suo» giardino, deve sempre osservare con attenzione il luogo prescelto, scrutarne il variare della luce nelle diverse ore del giorno e con il succedersi delle stagioni, ascoltare i consigli dei venti e del clima, tener conto del regime delle acque e della vegetazione autoctona.
Soprattutto, deve progettare quello spazio chiedendosi quali sono gli effetti che vuole creare e le emozioni che vuole suscitare: il giardino come un'oasi di pace, tutto frescura, toni riposanti e profumi delicati?
O un luogo ameno, esteticamente armonioso, intensamente suggestivo? O, ancora, un luogo che rinvigorisca lo spirito, pieno di colori accesi, di forme decise, e di tante farfalle? Su cosa si vuole attirare lo sguardo? Che cosa si vuole schermare? Qual è il punto focale della nostra stanza a cielo aperto e come riusciremo a integrarla con quel giardino di tutti che è il paesaggio circostante?
Con uno stile narrativo sempre piacevole e brillante, l'autrice ci conduce lungo un percorso che attraversa le quattro stagioni, suggerendo espedienti e piccoli trucchi, talvolta perfino azzardi.
Vera Maone, Scultura post moderna
foto da: Vera Maone, Bagnoli. Lo smantellamento dell'Italsider, Milano, Mazzotta, 2000, p. 75
Francesca Marzotto Caotorta, paesaggista, progetta giardini in Italia e all'estero. Ha ideato e diretto «Gardenia», una delle più lette riviste di giardinaggio, e contribuito a creare Orticola, che da alcuni anni è una delle più accreditate e frequentate manifestazioni sul tema.
È stata a lungo l'esperta di giardinaggio del supplemento domenicale del «Sole -24 Ore» e ha collaborato alle maggiori testate italiane. Ha inoltre condotto rubriche radio-televisive. Fra i suoi libri: Profumi ritrovati (1980), I segreti dei colori naturali (1982), Viole (1997).
(dalla seconda e terza di copertina)
Vera Maone, Magazzino dei pezzi di ricambio
foto da: Vera Maone, Bagnoli. Lo smantellamento dell'Italsider, Milano, Mazzotta, 2000, p. 67
Una volta, mentre stava davanti a un muro che a me pareva soltanto grigio e per il quale lui stava usando del viola, del celeste, del rosa, dell'arancione, gli chiesi perché facesse così, perché usasse colori che non c'erano.
«Guarda meglio» mi rispose. Quel «guarda meglio», ossia guarda con gli occhi e insieme con tutti i sensi, mi ha accompagnato fin qui, mentre nel frattempo imparavo a riconoscere tutti i fiori che crescevano spontanei nelle campagne della mia infanzia.
Il loro nome mi veniva dato dopo una lunga descrizione in cui si diceva della forma, del colore, dell'odore, del portamento, del modo in cui il boccio si schiudeva, del posto esatto dove era nato e di chi gli stava accanto. Il parlare di piante tanto da individuare le caratteristiche di una fisionomia, che si definiva più e meglio a seconda di quanto e di come era stata guardata, diventò paradigma del nostro modo di comunicare.
A volte il parlare di piante è stato adoperato anche come dizionario fra il dicibile e il non detto, che spesso riuscivano a comunicare dopo la minuziosa descrizione di un giardino o di una pianta sconosciuta, oppure di un progetto più o meno riuscito. Un po' come quando si va da certi medici dai quali, parlando del nostro lungo naso, va via la paura dell'ascensore. D'altra parte, proprio per quella sua tendenza a dividere le piante fra elette ed escluse, fra amabili e non (i primi gerani, intesi come pelargoni rosa, sono entrati in casa mia portando la fragranza della trasgressione, identica a quella della prima sigaretta), e sempre secondo il linguaggio del non detto, parlare con entusiasmo di certe specie equivaleva a dire: «Oggi non sono in sintonia con te».
(da: Prologo: Le dalie viola mai, p. 5)
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