Penelope a Davos. Idee femministe per un'economia globale
Si può argomentare che il distruttivo dominio della finanza sulla vita umana sia connesso all'oppressione millenaria delle donne e alla loro assenza dalla vita pubblica? L'epoca in cui viviamo è segnata dal profondo disordine che accompagna la fine di un mondo, quello patriarcale, mentre il nuovo, verso cui andiamo, ancora non ha un nome e richiede, per prendere forma, una nuova tessitura di pensieri e di iniziative. Nei suoi tentativi di pensare in modo postpatriarcale (così lei chiama i suoi scritti), la teologa femminista Ina Praetorius si pone domande radicali e risponde mettendo al centro le categorie della nascita, della relazionalità e della dipendenza. Il dominio degli uomini sulle donne può spiegare come si sia arrivati a pensare che libertà significhi "indipendenza" e che le relazioni umane siano il gioco di interessi egoistici nel libero mercato. L'oblio della nostra dipendenza dall'aria, dall'acqua e dall'amore ha origine nel disprezzo dell'opera femminile di mettere al mondo e di provvedere quotidianamente ai bisogni materiali e affettivi della vita. Possiamo concepire un ordine di pensiero che rimetta le cose al loro giusto posto solo se e ripensiamo la convivenza umana sulla Terra a partire dalle relazioni più elementari e andiamo oltre le opposizioni gerarchiche che hanno caratterizzato la cultura occidentale patriarcale (mente-corpo, oikos-polis, terra-ciclo) e oltre anche alle forme in cui il femminismo si è fino a oggi sviluppato.
I saggi qui contenuti costituiscono una parte scelta dell'ampia produzione teorica dell'autrice, e nascono tutti in contesti di pratica politica, dall'insegnamento teologico e dalla attenta partecipazione nei confronti delle iniziative che in ogni parte del mondo mostrano la possibilità di una vita più giusta per i sei miliardi e mezzo di esseri umani che abitano la terra.
Indice: Perché Romeo amava Giulietta?; Seguire la traccia della dipendenza Ovvero: che cosa significa essere partoriti?; Dalla parità al dare forma al mondo Quarantanni di teologia femminista; Economia della natalità; Penelope a Davos; La mistica: trovare un senso qui e ora; Libertà in relazione Per i cento anni dalla nascita di Jeanne Hersch; Pensare il mondo come ambiente domestico Autointervista su un esperimento filosofico; Nota bibliografica.
foto da: www.magverona.it
In questi ultimi anni ho riflettuto molto sull'ambiente domestico come luogo di lavoro, e sulle molteplici attività che lo caratterizzano, e mi sono domandata: perché tali attività sono generalmente considerate pesanti e noiose, nonostante siano necessarie? Forse le percepiamo come un peso proprio perché infondo non possiamo evitarle? Perché le donne si vergognano se sono "soltanto" casalinghe? Perché dai programmi scolastici stanno via via scomparendo le materie attinenti a queste attività, per esempio cucina o cucito?1^ Perché le faccende domestiche sono retribuite male o addirittura per niente? Perché sono considerate "tipicamente femminili"? Come vengono organizzate in quest'epoca che vede un patriarcato ormai in declino e con esso, di conseguenza, anche il matrimonio come l'istituzione per "farsi mantenere"? Che cosa avviene se provo a considerare il mondo intero, anziché un mercato, come oggi è divenuto usuale, un ambiente domestico?
In questo testo simulo un'intervista, per esplicitare quello che in realtà è un dialogo interiore, e mi interrogo in merito ad alcuni aspetti di un mio esperimento filosofico sul concetto di ambiente domestico.
D. Il tuo ultimo libro si intitola Die Welt: ein Haushalt (II mondo: un ambiente domestico).134 Questo titolo sta a indicare che negli ultimi anni hai posto sempre più al centro del tuo pensiero il concetto di "ambiente domestico". Perché?
R. Il motivo principale è dovuto sicuramente al fatto che ho sempre svolto volentieri le faccende domestiche. Per me è molto piacevole fare cose che contribuiscono visibilmente e direttamente a far stare bene alcune persone, compresa me stessa. Non vi è nulla che faccia più volentieri che cucinare un buon pasto o preparare una stanza accogliente per gli ospiti. Pulisco di buon grado anche il nostro bagno, perché percepisco fìsicamente con quanto più gusto poi ci tratterremo in uno spazio così importante.
D. Dunque ami le attività tradizionalmente femminili.
R. Sì, e per tanto tempo me ne sono addirittura vergognata. In realtà, nella mia infanzia e giovinezza mia mamma è sempre stata per me un esempio quotidiano di come non sia affatto difficile essere una brava e amorevole casalinga e allo stesso tempo svolgere un lavoro fuori casa. Era insegnante al conservatorio di Stoccarda e spesso dava concerti. Nel movimento femminista, alla fine degli anni Settanta, ho poi però imparato che una vera femminista considera le faccende domestiche in certo senso non degne di lei. Allora, pensavamo che la nostra felicità risiedesse nell'attività professionale e, in particolare noi studentesse, nella carriera accademica. In realtà, nell'appartamento che condividevo con i miei compagni e compagne di università, ho cucinato molto e con piacere, ma sempre sforzandomi di non avere l'aria di una casalinga. In quegli anni, era considerato molto elegante abitare in un appartamento il più possibile sporco. Prendevamo in giro quelle tra noi che amavano stare in un ambiente ordinato e pulito, accusandole di essere tutte "casa e famiglia" e sospettandole di voler liberare del lavoro i compagni affinché avessero più tempo da dedicare allo studio.
D. Nel frattempo pare ti sia liberata di queste convinzioni.
R. Sì, abbastanza. In questi anni il mondo, e dunque anche il movimento femminista, hanno attraversato fasi differenti, e noi tutte siamo diventate più adulte, abbiamo fatto nuove esperienze, sulle quali abbiamo riflettuto parecchio. La rigida morale del femminismo negli anni Settanta e Ottanta era nata per opporsi al classico ruolo femminile della casalinga dipendente e isolata. Una presa di posizione allora assolutamente necessaria, che ha avuto importanti conseguenze politiche. Ma nessuna forma di vita personale può reggere a lungo su una pura opposizione. Mi sono resa conto che la critica mossa alla costruzione patriarcale della donna dipendente non comporta necessariamente la svalutazione delle belle, indispensabili attività che costituiscono l'essenza delle cure domestiche. Oggi non censuro più il piacere di svolgere le faccende domestiche; al contrario, lo godo pienamente. Vero è che me lo posso permettere, perché al momento ho un'altra copertura finanziaria, ma uso consapevolmente l'indipendenza economica per riflettere, dal punto di vista sia teorico sia pratico, l'ambiente domestico come luogo di lavoro, un lavoro per secoli squalificato. È paradossale che oggi soprattutto le persone benestanti possano permettersi di svolgere in piena libertà attività significative e necessarie, riflettendo con agio sul senso di tutto quanto. Ciò significa che l'organizzazione sociale del lavoro continua a funzionare in modo errato. Né migliora la situazione il fatto che nella sua riflessione sui lavoratori Karl Marx avesse già colto alcune delle relative cause. È e rimane scandaloso che persone che svolgono attività necessarie e fondamentali per l'umana convivenza siano sistematicamente tenute in stato di dipendenza economica, per esempio da quanti commercializzano beni totalmente superflui o vendono stupidissimi talk show o svolgono in qualche ufficio compiti amministrativi perfettamente inutili.
D. Tu cerchi, quindi, di reinventare le attività domestiche, superando il ruolo tradizionale giustamente criticato della casalinga e considerandole, invece, attività necessarie e libere. Sembra un po' come essere tutti i giorni sul filo del rasoio.
R. Sì, è vero. Chi si esprime e agisce mettendo in discussione le norme androcentriche, ma nello stesso tempo anche la critica a quelle, si trova su un terreno sdrucciolevole. Spesso, il mio amore teorico e pratico per le faccende domestiche viene frainteso come "rivalutazione" del vecchio ruolo femminile. In certi ambienti femministi, alcune donne credono effettivamente che si possa migliorare la società dichiarando di essere da allora in poi semplicemente casalinghe "consapevoli", senza tuttavia modificare minimamente il valore risibile che è riconosciuto a tale attività dalla cultura e dall'economia. Per contro, la mia rinnovata considerazione delle faccende domestiche presuppone sia la fase del femminismo dell'uguaglianza sia la conseguente decostruzione dell'ordine simbolico androcentrico. È stato molto importante, circa tre decenni fa, aver imposto all'agenda politica la sostanziale "parità" di donne e uomini. Altrettanto importante è stato inoltre, a seguito di ciò, aver smascherato le presunte "identità naturali" femminili e maschili. Oggi, penso che siamo giunte a un punto diverso. Ora si tratta di usare il sapere, le analisi e i successi del movimento femminista, per pensare e organizzare il mondo intero in modo nuovo. Che le donne siano libere e certamente non predestinate dalla natura a determinati ruoli secondari, è ormai un dato di fatto, noto a tutti, non è forse vero? Diciamo, quasi a tutti. Il problema, ora, è come si può organizzare una società in cui tutti siano al tempo stesso, liberi e dipendenti, servano e siano serviti, definiscano e siano definiti, agiscano in molteplici processi di scambio...
D. In questo senso va inteso il titolo del tuo libro sul mondo quale ambiente domestico?
R. Sì, oggi considero questo titolo come l'ultima tappa dello sviluppo del mio pensiero, nel quale si rispecchiano diverse fasi del femminismo. Prima di questo ne ho pubblicati altri tre, il primo dieci anni fa: era la mia tesi di dottorato, in cui mi occupavo della critica dell'immagine umana e femminile nell'etica protestante di lingua tedesca dopo la Seconda guerra mondiale. Il secondo ha per titolo Skizzen zurFeministìschen Ethik (Elementi di etica femminista).Il terzo, pubblicato non per caso nel 2000, si intitola Zum Ende des Patriarchats (Sulla fine del patriarcato) e si ispira ovviamente al testo del Sottosopra rosso sulla fine del patriarcato, pubblicato dalla Libreria delle donne di Milano. L'ultimo mio libro, appunto Die Welt: ein Haushalt, va dunque inteso come il mio personale approccio al pensiero postpatriarcale. Con diversi singoli spunti iniziali, più o meno teorici o spirituali, mi domando se le strutture, le attività e la lingua che caratterizzano l'ambiente domestico siano adatti a nominare in altro modo il "mondo intero". Compito iniziale è stato di prendere sul serio le mie esperienze nell'ambiente domestico, inteso quale ambito di lavoro e di vita, all'interno del quale trascorro molto tempo, e di descriverle con precisione, senza tenere in conto il linguaggio usato dai libri di cucina o di consigli pratici, dalle riviste femminili e dalla pubblicità di detersivi. Il passo successivo è consistito nel porre fine alla svalutazione e banalizzazione di questo ambito di attività tradizionalmente femminili, ricostruendone la relazione con il mondo. Propongo in questo modo, di contro all'immagine corrente del mondo come "mercato", alcune alternative che sono forse più umane e consentono anche ad altre donne di pensare il mondo a partire dalle loro esperienze reali.
(da Pensare il mondo come ambiente domestico. Autointervista su un esperimento filosofico. pag. 103-107)
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